28 febbraio 2012

CUCINANDO LENTAMENTE: IL SUGO DI CASTRATO

La maggior parte dei "sapori dei ricordi" sono legati alle tante estati della mia infanzia (e adolescenza) passate a Castel San Pietro Romano.
Vi ho già parlato dei pomodori al riso che nonna "Mimma" preparava, durante le nostre vacanze lì al paese, il martedì o il sabato portandoli a cuocere al forno a legna dove, in quei due giorni, dopo aver cotto il pane che le tante paesane preparavano in casa e portavano poi a cuocere, era possibile portare anche teglie di verdure gratinate o di pomodori al riso e melanzane ripiene. Vi ho parlato anche del "Cappone di galera" di nonno Ottavio, anche se quello, per noi, è un piatto tradizionale del Natale.
Uno dei sapori che, però, da tanto tempo non riuscivo più ad assaporare era quello delle pappardelle al sugo di castrato che, immancabilmente, prendevo ogni volta che andavamo a mangiare alla trattoria del caro amico Clemente, soprannominato (destino, quello del soprannome o del diminutivo/accrescitivo, comune a tutti gli altri paesani) "Clementicchio". In effetti, a parte i vari "Pasqualino-Pasqualone", "Clementicchio-Clementone", è ancora più curioso il fatto che le donne del paese avessero tutte un vero e proprio secondo nome che soppiantava di fatto quello vero: così Clementina diventa per tutti Brigida, Rolanda diventa Delfina e così via (ma questa è un'usanza comune in tutto il centro Italia, soprattutto nelle Marche).
Oddio, da Clementicchio (che passava le serate a preparare la carne alla brace nel grande camino all'angolo della sala del ristorante, e che per questo ho sempre ammirato non capacitandomi di come potesse resistere davanti alle fiamme roventi per ore ed ore) io prendevo spesso anche i cannelloni... ma questa è un'altra storia (oltre che un altro desiderio che vorrei far avverare al più presto).
In effetti sono diversi anni che non vado da Clementicchio (oramai sostituito davanti al fuoco dai figli, fra cui il caro amico Tarcisio, tra l'altro ottimo e valente "blues-man") ma, avendo avuto la fortuna di imbattermi in un bel taglio di castrato al reparto macelleria di un buon supermercato, non ho esitato a prenderlo per rinverdire i fasti dei bei tempi paesani.
Ovviamente, vista la lunga preparazione di questo sugo, questa ricetta non può non partecipare al contest di Sabrina "Ti cucino a fuoco lento" (e prometto che questa è l'ultima).

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Ecco, quindi, le indicazioni per preparare un mitico

SUGO DI CASTRATO

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INGREDIENTI (per 6/8 persone):
1,5 kg. di castrato di agnello (di circa un anno)
Mezza cipolla
Una carota grande
Una costa di sedano
Passata di pomodoro (due bottiglie + un barattolo piccolo di pelati)
1 bicchiere di vino rosso
acqua
olio

PROCEDIMENTO:
In due o tre giri di olio rosolare i pezzi di castrato su tutti i lati e metterli da parte.
Aggiungere all'olio rimasto la mezza carota, la cipolla ed il sedano tritati a coltello. Lasciar appassire il tutto quindi aggiungere il bicchiere di vino rosso e lasciar sfumare l'alcool.
A questo punto rimettere in pentola (meglio se in un tegame di coccio) i pezzi di castrato lasciandoli insaporire per un paio di minuti quindi aggiungere la passata di pomodoro (io ho aggiunto prima le due bottiglie di passata e, dopo pochi minuti, per coprire totalmente la carne, ho aggiunto il barattolo piccolo di pelati, dopo averli frullati) e circa mezzo litro di acqua, portanto a cottura a fiamma bassa per circa tre ore.
Il sugo sarà pronto quando l'olio creerà delle chiazze (volendo, si può anche filtrare) sulla superficie del sugo.
La lunga cottura favorirà il facile distacco della carne dall'osso, dopo che questa avrà insaporito il sugo con il suo caratteristico gusto.
Il sugo di castrato è ottimo per condire pappardelle o fettuccine all'uovo ma anche rigatoni e mezze maniche.

19 febbraio 2012

BASTA POCO... CHE CE VO' !?!


Si, era una frase che diceva anni fa Giobbe Covatta per sponsorizzare una campagna sociale.
E la faccio mia perché è finalmente uscito il libro che noi (TANTI) blogger, donando una semplice ricetta, abbiamo contribuito a creare per aiutare tutto il personale e gli ospiti della Cooperativa Gulliver di Borghetto di Vara, le cui strutture sono state praticamente distrutte da quel fiume di fango che nell'ottobre scorso seppellì Genova e la Liguria.


Un grazie enorme va alla promotrice di questa iniziativa, Patrizia, ed a tutti gli amici che hanno partecipato per rendere reale e materiale la nostra voglia di essere vicini ed utili a quanti sono stati così sfortunati da veder spazzato via quanto di più caro avessero.
Con pochi euro, per ora esclusivamente sul sito dell'editore, potrete acquistare il libro di ricette, anzi... non "potrete" ma... "DOVRETE" visto che i proventi andranno interamente alla Cooperativa Gulliver per finanziare la ricostruzione, la ristrutturazione dei locali della casa famiglia e, quindi, la ripresa del loro impegno sociale verso bambini ed anziani.
Il libro lo trovate sul sito dell'editore "Libero di Scrivere Edizioni" e con meno di 20€ vi troverete in casa tante ricette gustose e farete un'opera socialmente utile.
Ancora qui???? Dai... correte sul sito !!!


17 febbraio 2012

SPEZZATINO CON LA ROVEJA

Con questo post partecipo al contest dell'amica Sabrina e ne approfitto, dopo aver parlato della Fagiolina del Trasimeno, per presentare un altro legume poco conosciuto ma di grande bontà: la Roveja.

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Probabilmente la Roveja proviene dal Medio Oriente ed in Europa è conosciuta fin dalla preistoria in quanto rappresentava, insieme a lenticchia, orzo e farro, (oltre carne, frutti e bacche) la base dell'alimentazione umana nel neolitico. Fu apprezzata in seguito anche da greci e romani. Nei secoli passati era coltivata su tutta la dorsale appenninica umbro-marchigiana, in particolare sui Monti Sibillini.
Il declino della roveja è iniziato nella seconda metà del Ventesimo secolo in quanto la tecnica di lavorazione manuale ne ha scoraggiato la produzione, ed a partire dalla meccanizzazione dei raccolti è stata lasciata da parte fino a cadere in abbandono.
Nel 1998 Silvana Crespi e Geltrude Moretti, due donne di Civita di Cascia (un borgo dell'alta Val Nerina, in provincia di Perugia), trovarono in cantina un barattolo di semi colorati con una scritta misteriosa: roveggia. Il barattolo era un'eredità del nonno. Decisero di provare a piantarli e da lì cominciarono a fare ricerche fra i vecchi che la ricordavano e rivelarono il suo vero nome: roveja. Grazie a loro questo legume è tornato ad essere coltivato in piccoli quantitativi da produttori curiosi e coraggiosi. Nel 2006 la roveja, grazie alla tenacia di queste due donne, diventa presidio Slow Food ed il progetto coinvolge quattro piccoli produttori di Civita di Cascia che, recuperato il seme antico, si propongono di diffondere la conoscenza di questo legume.
Simile al pisello selvatico, con colorazione varia tendente al rossiccio, verde scuro e marrone, la roveja viene consumata sia fresca che secca e se ne ricava una farina dal retrogusto amarognolo (rigorosamente macinata a pietra) per la "farrecchiata", una polenta tradizionale dell’area dei monti Sibillini, condita con un battuto di acciughe, aglio e olio.
Questo legume è un ottimo ingrediente per le minestre e le zuppe. La valenza nutritiva della roveja è legata alla presenza di proteine (in particolare se consumata secca), carboidrati, fosforo, potassio e pochissimi grassi. Come legume fresco contiene il 7% di proteine e fornisce circa 75 calorie per 100 grammi di peso netto. Una volta seccata il suo valore nutritivo è più elevato, in quanto la perdita d’acqua porta a una rilevante concentrazione di tutti gli elementi nutritivi: le proteine diventano il 21%, e le calorie circa 300 per ogni 100 grammi di prodotto, grazie all’elevato contenuto di carboidrati che rappresentano il 50% del peso secco. Elevato è anche il contenuto di potassio, di fosforo e di vitamina B1. La roveja viene per questo consigliata nelle diete ipolipidiche. Contiene inoltre un elevato contenuto di fibra sia insolubile, come la cellulosa, localizzata nella buccia esterna e capace di regolare le funzioni intestinali, sia solubile, che può contribuire alla regolazione dei livelli di glucosio e colesterolo nel sangue.
La roveja viene seminata a marzo a un'altitudine che va dai 600 ai 1200 metri e raccolta tra la fine di luglio e l'inizio di agosto. La battitura è simile a quella della lenticchia: quando la metà delle foglie è ingiallita, e i semi sono diventati cerosi, si sfalciano gli steli e si lasciano ad essiccare. Quando l'essiccamento è completato si trebbia. Si devono poi separare i semi dalle impurità con l'uso di setacci.
La roveja si trova anche spontanea, nei prati e lungo i fossi: non richiede molta acqua e resiste anche a basse temperature.

Notizie tratte dalle schede di GENTE DEL FUD.

Dopo questa presentazione questa è la ricetta per preparare un ottimo

SPEZZATINO AL SUGO CON LA ROVEJA

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INGREDIENTI (per 6 persone):
700 gr. di spezzatino di manzo
250 gr. di roveja essiccata
1,5 kg. di pomodori pelati
1 carota
1 sedano
1 cipolla
un bicchiere e mezzo di vino rosso
olio
sale
pepe

PROCEDIMENTO: mettere la roveja a mollo per almeno 12 ore in acqua fredda quindi sciacquarla e cuocerla in pentola a pressione (per 15 minuti dal "fischio") con un battuto di cipolla, carota, sedano, un giro d'olio e mezzo bicchiere di vino rosso.
Una volta lessata versarla in uno scolapasta e lasciarvela ad asciugare.
Nel frattempo, con lo stesso battuto, rosolare in un tegame di coccio (con lo spargifiamma) i pezzi di spezzatino, quindi aggiungere il bicchiere di vino rosso e tenere in cottura a fuoco basso finchè questo non evapora del tutto.
Aggiungere poi i pomodori pelati (passati al minipimer) e, sempre a fuoco basso protrarre la cottura per circa 30/40 minuti (a seconda della grandezza dei pezzi di carne), lasciando coperto con un coperchio.
Quindi aggiungere la roveia, mescolare bene e protrarre la cottura per un'altra ventina di minuti, mescolando di tanto in tanto.
Servire caldo con tanto pane (magari sul fondo del piatto dopo averlo "bruschettato").

14 febbraio 2012

MARCHE 2011 - RECANATI - OFFIDA - OSIMO

Stiamo quasi per ripartire per le vacanze 2012 e ancora devo postare delle foto delle vacanze nelle Marche del 2011. Quindi ecco una veloce presentazione di tre cittadine raccolte ma importanti della bella regione italiana: Recanati, Osimo e Offida.
Recanati, patria del poeta Giacomo Leopardi e dell'altrettanto famoso tenore lirico Beniamino Gigli, ci si presenta in una grigia giornata (forse per farci meglio comprendere lo stato d'animo "uggioso" del poeta) ma ci piace ugualmente: si stanno allestendo stand nelle vie ed i negozianti stanno ornando le vetrine dei propri negozi di rosa in previsione della "Notte Rosa" che si svolgerà di lì a poche ore. Tra un cavo, un festone, una bandiera ed un leggero scroscio d'acqua riusciamo però a scattare qualche foto...

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Un altro paese delle Marche cui sono, indirettamente, legato da anni (per via che vi ha sede la Lega del Filo d'Oro, che sostengo da una ventina d'anni) è Osimo. Anche questa piccola cittadina è un vero e proprio balcone su una delle tante vallate marchigiane. Ci si passeggia piacevolmente ed offre scorci carini e curiosi (e ci ho visto anche diverse belle donne, ma questo non ditelo a Claudia :-D).

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Il giro si chiude con Offida: ci capitiamo in giorno di mercato ma questo non ci vieta di potercela girare tranquillamente, vicoletti medievali compresi.
Secolare è la tradizione offidana del merletto a tombolo e del mangiar bene: celebre è il detto (tradotto) "A Offida si spende poco e si mangia bene".
Quest'ultima affermazione la possiamo confermare pienamente: se vi capita di passarci all'ora di pranzo o cena andate senza indugio all'Osteria Ophis. Noi ci abbiamo gustato piatti tipici della tradizione marchigiana realizzati alla perfezione, in porzioni generose ed a prezzi (come da detto) veramente onesti. Un posto in cui tornare più volte per provare tutto il menu.

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12 febbraio 2012

LA LENTA POLENTA... A RISPARMIO D'ENERGIA

Ci sono cose e persone, nella vita, cui proprio non puoi dire di no: una di queste persone è la cara amica Sabrina ed una delle cose è il suo primo contest !

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Premesso che a lei non posso proprio dire di no (cosa che purtroppo, negli ultimi mesi, ho dovuto dire ad altri amici blogger, visto che oramai in casa nostra, per impegni vari e mancanza di tempo, si cucina soltanto la domenica a pranzo e non ce la faccio a star dietro ai vari contest cui pur mi piacerebbe partecipare... e ve ne sarete accorti notando che oramai posto soltanto un paio di volte al mese ricette culinarie) devo dire che questa volta ...capita a fagiolo.
Infatti il suo contest è rivolto a preparazioni di pietanze che richiedono una lenta cottura, a temperature non troppo elevate e in ambiente acquoso.
Neanche a farlo a posta (a me piace scriverlo ancora "all'antica", staccato) la sera prima di leggere il suo invito al contest avevo preparato una polenta ripiena. Visto che vi ho accennato alla mancanza di tempo vi chiederete come questa si possa conciliare con la preparazione di una polenta, che, come noto, richiede dedizione e olio di gomito per starla a girare almeno una quarantina di minuti con una frusta per non farla attaccare al fondo della pentola.
La risposta è semplice: TUPPERWARE !
Eh si, ve ne avevo già parlato giusto tre annetti fa e l'illuminazione me l'aveva data LEI: da quel giorno a casa mia la polenta si fa quasi esclusivamente così !
Quindi non me ne voglia Sabrina se ripropongo per l'ennesima volta una ricetta oramai sperimentata alla grande a casa nostra ma se c'è un caso di "cottura non cottura" beh... questo è proprio quello della polenta nella ciotola Tupperware.
Ecco quindi la mia

POLENTA CON FUNGHI E TALEGGIO
A COTTURA LENTA

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INGREDIENTI (per 6 persone):
500 gr. di farina di mais (ovviamente quella di FABIO)
Mezzo chilo di champignons
100 gr. di taleggio (o caciotta/pecorino semistagionato)
Uno spicchio d'aglio
Olio
Pepe
Sale
Un bicchiere di vino bianco

PROCEDIMENTO: Pulire e tagliare a tocchetti grossolani gli champignons, quindi farli appassire in padella per una ventina di minuti scarsi con mezzo bicchiere di vino bianco, un cucchiaio d'olio ed uno spicchio di aglio in camicia.
A fine cottura togliere l'aglio ed aggiungere un cucchiaino di pepe appena macinato.
Mettere a sobollire circa 2 litri e mezzo di acqua leggermente salata.
A bollore raggiunto aggiungere un giro d'olio ed iniziare a versare la polenta a filo.
Idratarla bene mescolando con la frusta per 2 o 3 minuti ed aggiungere 100 grammi di Taleggio (Belpaese o altro formaggio di vostro gusto, preferibilmente semistagionato); continuare ad amalgamare per altri 3 minuti circa, finché il formaggio non si sarà fuso alla perfezione, quindi versare un paio di mestoli di polenta sul fondo della mescolatrice (la cima della cupola); scavare una piccola fossetta nella polenta (e praticare dei tagli con la punta di un coltello, per far penetrare il condimento ed insaporirla ulteriormente) e riempirla con i funghi oramai intiepiditi. Versare la polenta rimanente, livellando con il dorso dello sgommarello, e chiudere con il tappo ermetico.
L'interno in plastica e la copertura esterna in gomma della ciotola porteranno, in poco meno di un'ora, a cottura perfetta la polenta senza alcuna altra fatica da parte vostra. In più, e qui sta il segreto di questa peraltro economica cottura della polenta (si consuma pochissimo gas e cuoce con il suo stesso calore), la stessa polenta si "insaporirà" con i funghi ed il formaggio dall'interno!
Senza omettere di dire che, così servita, è anche altamente scenografica :-D



08 febbraio 2012

OMAGGIO (SCOPIAZZATO) AD ASCOLI PICENO

Eh si: bisogna sempre dare a Cesare quel che è di Cesare.
In questo caso il Cesare in questione è CARIS e ammetto che la sua "Torta Meletti" mi ha ispirato questa panna cotta sfiziosetta e "un po' da grandi".
Adoro l'Anisetta Meletti fin da quando ero bambino: i miei nonni materni erano marchigiani, di Pescara del Tronto e di Matelica, mentre una cugina di nonna era di Ascoli Piceno, quindi in casa nostra l'anisetta Meletti (che indubbiamente ha un quid in più rispetto ad ogni altro liquore prodotto con anice stellato che si trovi sul mercato) non è mai mancata!
Lo scorso anno con Claudia siamo andati in vacanza sull'Adriatico ed Ascoli Piceno è stata quindi una tappa obbligata (mi vergogno ancora oggi a dirlo ma, colpevolmente, non c'ero mai stato prima): purtroppo è stata anche l'unica giornata di diluvio e questo non ci ha permesso di potercela godere come merita.
Tra l'altro la splendida Piazza del Popolo era "deturpata" dalle impalcature del Palazzetto Meletti in fase di restauro, con conseguente bar chiuso: ottima scusa per tornarci quanto prima.
Per fortuna Caris c'è andata dopo di me ed il palazzetto faceva splendida figura nel contesto della spettacolare piazza. Ma non solo...: ha potuto anche visitare il locale dove, però, somma jella, non si è accorta di alcuni meravigliosi dolci che vi vengono preparati.
Saputolo solo in un secondo tempo ha provato, con un minimo di notizie prese in rete e con tanta fantasia, ad interpretare (magistralmente, aggiungo io) la famigerata "Torta Meletti". Da qui non ho saputo resistere e, ispirandomi alla sua ricetta (che pure si rifà ad un classico che è il "caffè corretto all'anisetta", o anche il semplice bicchiere di anisetta con "la mosca", un chicco di caffè tostato a galleggiarvi dentro), ho voluto provare a realizzare questa

PANNA COTTA ALL'ANISETTA MELETTI E CAFFE'

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INGREDIENTI (per 6 bicchierini):
500 ml. di panna
100 ml. di latte intero
Una tazzina (abbondante) di caffè
3 cucchiai di Anisetta Meletti
Zucchero a velo q.b.
Colla di pesce 7 gr.

PROCEDIMENTO: Mettere ad ammorbidire in acqua fredda la colla di pesce e, nel frattempo, scaldare la panna (cui avrete aggiunto anche il latte) senza farla arrivare a bollore.
Aggiungere la colla di pesce alla panna quando questa è arrivata a temperatura ottimale e mescolare bene, con una piccola frusta, per farla sciogliere del tutto.
Zuccherare a piacere, aggiungendo lo zucchero a velo a cascata, e continuando a mescolare il tutto.
Lasciar raffreddare e dopo una decina di minuti aggiungere il caffè e l'anisetta (se aggiungerete l'anisetta alla panna troppo calda si perderà molto del suo tipico aroma).
Mescolare nuovamente il tutto e colare la panna cotta nei bicchierini.
Lasciar freddare per una mezz'ora e poi mettere i bicchierini in frigo per almeno 3 ore.
Al momento di servire, dopo averli lasciati fuori dal frigo per una ventina di minuti, guarnire i bicchierini con dei chicchi e della polvere di caffè.
Per rendere questa panna cotta ancora più libidinosa si potrebbe aggiungere qualche "sbuffo" di panna montata.

P.s.: ovviamente la ricetta sarà sicuramente suscettibile di perfezionamenti a breve !

P.p.s.: grazie Caris !!

P.p.p.s.: scusate la foto: su Flickr sembra perfetta mentre qui sul blog sembra scattata ...in pieno tramonto.