30 novembre 2009

CAVOLFIORE GRATINATO

Un veloce contorno, ma che potrebbe anche fare da piatto unico vista la "consistenza", ammettiamolo, della farcia: i cavolfiori gratinati.

INGREDIENTI
1 cavolfiore bianco di media grandezza
(aceto e mollica di pane per la cottura, o anche succo di limone o una patata)
1/2 litro di latte
50 gr. di burro
50 gr. di farina
noce moscata
sale
pepe
5 o 6 cucchiai di parmigiano grattugiato
pane grattato (non troppo fine)

PROCEDIMENTO:

Mondate, per 4 persone, un cavolfiore di media grandezza eliminandone il torsolo interno (almeno la parte centrale, più dura) e lessatelo, ridotto in cimette non troppo piccole, in acqua leggermente salata nella quale avrete aggiunto anche un cucchiaio di aceto di vino bianco (o del succo di limone) ed un pezzo di mollica di pane (o una piccola patata): così eviterete che la casa venga invasa da quel "profumino" non propio piacevole che emana il cavolfiore in cottura. Toglietelo, al dente, con una schiumarola (per non rompere le cimette) e mettetelo in uno scolapasta a perdere l'acqua in eccesso. Nel frattempo preparate una besciamella classica (1/2 litro di latte, 50 grammi di burro, 50 grammi di farina, un pizzico di noce moscata ed uno di sale). Mettete un paio di cucchiai di besciamella sul fondo di una pirofila, disponetevi le cimette di cavolfiore, precedentemente passate nel pan grattato e spolverate con del parmigiano,
e versateci sopra tutta la besciamella, sbattendo leggermente la pirofila sul tavolo per livellare bene il tutto.
Spolverare la superficie con due manciate di parmigiano ed infornate per 15 minuti a 180/200°, o almeno finchè la superficie non sarà dorata.
Il cavolfiore è ricco di zolfo, potassio, calcio, ferro, fosforo e di vitamina A e C; ottimo per le diete (anche se non è questo il caso) è adatto agli anemici e molto indicato per chi soffre di colite ulcerosa o di ulcera gastrica; il suo liquido di cottura, poi, e ottimo contro eczemi ed infiammazioni.
Con questa veloce ricetta (in attesa di realizzare qualcosa di "meglio" che ho già in mente) partecipo alla raccolta di Albertone "BRICIOLE DI BONTA'"

P.s.: mi scuso per la pessima riuscita delle foto ma la luce della cucina, di sera, è quello che è e se avessi usato il flash sarebbe venuto un "all white".

24 novembre 2009

PIZZA DI LIEVITO MADRE CON LA SCAROLA

Continuo a proporvi le ricette che ho visto realizzare alle Simili durante il loro ultimo corso romano. Mo' ho trovato 'sto filone e chi lo lascia più ! hehehehe
Invero alcune ricette (4 o 5) presentate al corso mi hanno stuzzicato più di altre e sono già alla terza realizzazione, dopo il
pane sfogliato e l'angelica dolce.
Ieri sera, infatti, è andata in forno la pizza di lievito madre. Un'ottimo modo per "impegnare" il pupo (leggasi "pasta madre appena rinfrescata") in caso i continui rinfreschi lo avessero fatto crescere più del necessario.

INGREDIENTI PER L'IMPASTO

500 gr. di pasta madre rinfrescata
300 gr. di farina 00

70 ml. di olio evo

70 ml di acqua tiepida

2 cucchiaini di sale fino

INGREDIENTI PER LA FARCIA

2 cespi di scarola
una manciata di capperi
due cucchiai di pinoli
100 gr. di olive nere al forno
uno spicchio d'aglio
olio evo
sale
pepe grattugiato al momento

PROCEDIMENTO


In realtà basta rinfrescare normalmente il lievito madre (che sia di almeno 400 grammi) e, una volta lievitato (dopo 3/4 ore), se ne tolgono circa 600/700 grammi, spianandoli a mano su una teglia da forno unta d'olio.
Io, invece, come al solito, ho cambiato le carte in tavola: ho preso 500 grammi di pasta rinfrescata e l'ho impastata nuovamente con i 300 grammi di farina, l'acqua, l'olio ed il sale. Ho fatto la palla e l'ho messa a lievitare circa 2 ore. L'ho poi spianata col mattarello, in quanto non era ancora lievitata completamente ed era ancora un po' compatta, ma talmente elastica da restringersi e voler tornare alla forma iniziale.
L'ho sistemata su una teglia da forno (che puo' essere unta o ricoperta con cartaforno) ed ho lasciato lievitare nel forno spento per circa 2 ore
(volevo infatti una pizza più "biscottosa", croccante e friabile, mentre facendo lievitare direttamente l'impasto per circa 4 ore si ottiene una bella pizza soffice ed alta, come vedrete tra poco da Antonella).
Nel frattempo ho fatto appassire i due cespi di scarola in padella con lo spicchio d'aglio (poi tolto), un paio di giri d'olio, un bicchiere d'acqua; quando la scarola ha iniziato ad appassire ho aggiunto le olive, i capperi dissalati sotto l'acqua ed i pinoli. Ho cotto altri 4 o 5 minuti e messo a scolare dal liquido di cottura.
Quindi ho acceso il forno a 250° (senza la teglia) e, dopo averlo mandato in temperatura, ho di nuovo infornato la teglia, non prima di aver creato con i polpastrelli delle fossette nell'impasto steso; l'ho poi spennellato d'olio e sparso sulla pizza una manciatina di sale grosso.
Ho cotto per 7 minuti, ruotato la teglia di 180° e cotto per altri 7 minuti.
A questo punto l'ho sfornata, ho cosparso la superficie della pizza con la scarola, le olive, i capperi ed i pinoli, ho dato un altro giro d'olio ed ho nuovamente infornato per 8 minuti, sempre a 250°.
Con i ritagli dell'impasto non utilizzati per la pizza ho fatto delle striscioline che ho mangiato appena uscite dal forno (dopo mezzanotte: sarà per questo che poi ho sognato di giocare a pallone con Cristiano Ronaldo e Torres, il centravanti del Liverpool ?) ed alcuni piccoli "cornetti" (che sono venuti belli soffici nella parte cicciotta e croccanti nei due "corni": strepitosi !!!

ScArt Attack

Giovedì 26/11/2009, dalle 18 alle 24, in Via Libetta 13c (proprio a fianco degli ex Mercati Generali di Roma e di fronte al pub Irish Village, a pochissimi metri dalla Basilica di San Paolo) Claudia esporrà alcune sue creazioni realizzate con materiali di riciclo.

Se volete fare una passeggiata... vi aspettiamo qui :










QUI il programma della serata...


19 novembre 2009

PELLEGRINO ARTUSI - La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene

Un buon foodblogger non può non conoscere le "pietre miliari". A me è piaciuta molto l'introduzione di Pellegrino Artusi (1820-1911) al suo celeberrimo volume "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene". Un uomo illuminato, non c'è che dire...
E ve la ripropongo: un po' lunghetta ma vale la pena leggerla...

Pellegrino Artusi
La scienza in cucina e L’ARTE DI MANGIAR BENE
Vedi giudizio uman come spesso erra.
Avevo data l’ultima mano al mio libro La scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, quando capitò in Firenze il mio dotto amico Francesco Trevisan, professore di belle lettere al liceo Scipione Maffei di Verona. Appassionato cultore degli studi foscoliani, fu egli eletto a far parte del Comitato per erigere un monumento in Santa Croce al Cantor dei Sepolcri.
In quella occasione avendo avuto il piacere di ospitarlo in casa mia, mi parve opportuno chiedergli il suo savio parere intorno a quel mio culinario lavoro; ma ohimé! che, dopo averlo esaminato, alle mie povere fatiche di tanti anni pronunziò la brutta sentenza: Questo è un libro che avrà poco esito.
Sgomento, ma non del tutto convinto della sua opinione, mi pungeva il desiderio di appellarmi al giudizio del pubblico; quindi pensai di rivolgermi per la stampa a una ben nota casa editrice di Firenze, nella speranza che, essendo coi proprietari in relazione quasi d’amicizia per avere anni addietro spesovi una somma rilevante per diverse mie pubblicazioni, avrei trovato in loro una qualche condiscendenza. Anzi, per dar loro coraggio, proposi a questi Signori di far l’operazione in conto sociale e perché fosse fatta a ragion veduta, dopo aver loro mostrato il manoscritto, volli che avessero un saggio pratico della mia cucina invitandoli un giorno a pranzo, il quale parve soddisfacente tanto ad essi quanto agli altri commensali invitati a tener loro buona compagnia. Lusinghe vane, perocché dopo averci pensato sopra e tentennato parecchio, uno di essi ebbe a dirmi:
- Se il suo lavoro l’avesse fatto Doney, allora solo se ne potrebbe parlar sul serio. -
- Se l’avesse compilato Doney - io gli risposi - probabilmente nessuno capirebbe nulla come avviene del grosso volume Il re de’ cuochi; mentre con questo Manuale pratico basta si sappia tenere un mestolo in mano, che qualche cosa si annaspa. -
Qui è bene a sapersi che gli editori generalmente non si curano più che tanto se un libro è buono o cattivo, utile o dannoso; per essi basta, onde poterlo smerciar facilmente, che porti in fronte un nome celebre o conosciutissimo, perché questo serva a dargli la spinta e sotto le ali del suo patrocinio possa far grandi voli.
Da capo dunque in cerca di un più facile intraprenditore, e conoscendo per fama un'altra importante casa editrice di Milano, mi rivolsi ad essa, perché pubblicando d'omnia generis musicorum, pensavo che in quella farragine potesse trovare un posticino il mio modesto lavoro. Fu per me molto umiliante questa risposta asciutta asciutta:
- Di libri di cucina non ci occupiamo. -
- Finiamola una buona volta - dissi allora fra me - di mendicare l'aiuto altrui e si pubblichi a tutto mio rischio e pericolo; -
e infatti ne affidai la stampa al tipografo Salvadore Landi; ma mentre ne trattavo le condizioni mi venne l'idea di farlo offrire ad un altro editore in grande, più idoneo per simili pubblicazioni. A dire il vero trovai lui più propenso di tutti; ma, ohimé (di nuovo) a quali patti! L.200 prezzo dell'opera e la cessione dei diritti d'autore. Ciò, e la riluttanza degli altri, provi in quale discredito erano caduti i libri di cucina in Italia! A sì umiliante proposta uscii in una escandescenza, che non occorre ripetere, e mi avventurai a tutte mie spese e rischio; ma scoraggiato come ero, nella prevenzione di fare un fiasco solenne, ne feci tirare mille copie soltanto.
Accadde poco dopo che a Forlimpopoli, mio paese nativo, erasi indetta una gran fiera di beneficenza e un amico mi scrisse di contribuirvi con due esemplari della vita del Foscolo; ma questa essendo allora presso di me esaurita, supplii con due copie della Scienza in cucina e l' Arte di mangiar bene. Non l'avessi mai fatto, poiché mi fu riferito che quelli che le vinsero invece di apprezzarle le misero alla berlina e le andarono a vendere al tabaccaio.
Ma né anche questa fu l'ultima delle mortificazioni subite, perocché avendone mandata una copia a una Rivista di Roma, a cui ero associato, non che dire due parole sul merito del lavoro e fargli un poco di critica, come prometteva un avviso dello stesso giornale pei libri mandati in dono, lo notò soltanto nella rubrica di quelli ricevuti, sbagliandone perfino il titolo.
Finalmente dopo tante bastonature, sorse spontaneamente un uomo di genio a perorar la mia causa. Il professor Paolo Mantegazza, con quell’intuito pronto e sicuro che lo distingueva, conobbe subito che quel mio lavoro qualche merito lo aveva, potendo esser utile alle famiglie; e, rallegrandosi meco, disse:
- Col darci questo libro voi avete fatto un’opera buona e perciò vi auguro cento edizioni. -
- Troppe, troppe! - risposi - sarei contento di due. -
Poi con molta mia meraviglia e sorpresa, che mi confusero, lo elogiò e lo raccomandò all’uditorio in due delle sue conferenze. Cominciai allora a prender coraggio e vedendo che il libro propendeva ad aver esito, benché lento da prima, scrissi all’amico di Forlimpopoli, lagnandomi dell’offesa fatta ad un libro che forse un giorno avrebbe recato onore al "loro" paese; la stizza non mi fece dir "mio".
Esitata la prima edizione, sempre con titubanza, perché ancora non ci credevo, misi mano alla seconda, anche questa di soli mille esemplari; la quale avendo avuto smercio più sollecito dell’antecedente, mi diè coraggio d’intraprender la terza di copie duemila e poi la quarta e quinta di tremila ciascuna. A queste seguono, a intervalli relativamente brevi, sei altre edizioni di quattromila ciascuna e finalmente, vedendo che questo manuale, quanto più invecchiava più acquistava favore e la richiesta si faceva sempre più viva, mi decisi a portare a seimila, a diecimila, poi a quindicimila, il numero delle copie di ciascuna delle successive edizioni. Con questa trentacinquesima edizione si è giunti in tutto al numero di 283.000 copie date alla luce finora, e quasi sempre con l’aggiunta di nuove ricette (perché quest’arte è inesauribile); la qual cosa mi è di grande conforto specialmente vedendo che il libro è comprato anche da gente autorevole e da professori di vaglia.
Punzecchiato nell’amor proprio da questo risultato felice, mi premeva rendermi grato al pubblico con edizioni sempre più eleganti e corrette e sembrandomi di non vedere in chi presiedeva alla stampa tutto l’impegno per riuscirvi, gli dissi un giorno in tono di scherzo:
- Dunque anche lei, perché questo mio lavoro sa di stufato, sdegna forse di prenderlo in considerazione? Sappia però, e lo dico a malincuore, che con le tendenze del secolo al materialismo e ai godimenti della vita, verrà giorno, e non è lontano, che saranno maggiormente ricercati e letti gli scritti di questa specie; cioè di quelli che recano diletto alla mente e danno pascolo al corpo, a preferenza delle opere, molto più utili all'umanità, dei grandi scienziati. Cieco chi non lo vede! Stanno per finire i tempi delle seducenti e lusinghiere ideali illusioni e degli anacoreti; il mondo corre assetato, anche più che non dovrebbe, alle vive fonti del piacere, e però chi potesse e sapesse temperare queste pericolose tendenze con una sana morale avrebbe vinto la palma. -
Pongo fine a questa mia cicalata non senza tributare un elogio e un ringraziamento ben meritati alla Casa Editrice Bemporad di Firenze, la quale si è data ogni cura di far conoscere questo mio Manuale al pubblico e di divulgarlo.

16 novembre 2009

SIMILITUDINE: L'ANGELICA


Dopo averle trattate "bonariamente male" non potevo non cedere al loro fascino, soprattutto visto che oramai sbattere, impastare, spianare, parlare e dispensare nozioni per più di 4 ore inizia a diventare per loro faticoso. I ritmi di un tempo (hanno tenuto anche lezioni di panificazione perfino in Giappone, dormendo per terra nelle palestre delle scuole) iniziano ad essere troppo stressanti e quindi hanno rivelato che sarebbe loro intenzione diradare le scorrerie in giro per il globo terracqueo a divulgare conoscenza in fatto di lieviti ed impasti.
Ma siiiii, ovvio! Parlo delle mitiche SORELLE SIMILI!!!Del loro "repertorio" mi sarebbe sempre piaciuto provare a fare la mitica ANGELICA.

Ed allora, dopo aver seguito attentamente le spiegazioni ed aver preso appunti al corso, rimbocchiamoci le maniche e... fiato alle trombe Turchetti !!!

INGREDIENTI
LIEVITINO:
105 gr. farina 00
  30 gr. farina manitoba 

  13 gr. lievito di birra fresco
  75 gr. acqua tiepida


IMPASTO:
400 gr. farina 00
  75 gr. zucchero
120 gr. latte tiepido
    3 tuorli
    1 cucchiaino di sale
120 gr. burro morbido

RIPIENO:
 90 gr. uvetta sultanina
100 gr. scorza d'arancia candida
 50 gr. burro fuso
   4 cucchiai di pinoli

GLASSA:
   4 cucchiai di zucchero a velo
   1
 albume

PROCEDIMENTO:
Amalgamate gli ingredienti del lievitino in una ciotola e lasciate raddoppiare di volume il composto (circa 45/60 minuti).
In una capiente ciotola fate la fontana con la farina e versate nel centro il latte tiepido, in cui avremo colato, per meglio amalgamarli, i tre tuorli dopo aver tolto la pellicina con il metodo di Lory (che trovate QUI), poi aggiungete lo zucchero e il cucchiaino di sale.
Iniziate ad amalgamare pian piano la farina e quando l'impasto inizia a solidificare aggiungete il burro morbido.
Continuate ad amalgamare gli ingredienti e poi battete la pasta sul tavolo per circa 3 minuti, per far sviluppare il glutine.
A questo punto prendete il lievitino e spianatelo a forma quadrata con il mattarello.
Inserite l'impasto al centro del quadrato del lievitino e chiudete i 4 angoli a sacchetto. A questo punto, dopo aver sommariamente impastato il tutto, avrete una cosa del genere.
Continuate a battere ed arrotolare l'impasto sul tavolo finché tutte le striature bianche (del lievitino) saranno assorbite e l'impasto sarà quasi di un bel giallo ocra.Ungete una ciotola e mettete l'impasto a lievitare circa un'ora, fino al raddoppio.
Intanto tagliate a piccoli dadini i canditi e mettete a bagno in acqua calda (o rhum, o Strega... fate voi) l'uvetta sultanina.
Dopo che l'impasto avrà lievitato rovesciate lo stesso su un piano di lavoro e spianatelo con il mattarello fino ad ottenere un rettangolo di circa 40x60 cm., e spesso circa 3 mm.; spennellatelo con il burro fuso fino a circa 2 centimetri da ogni bordo e farcitelo con i canditi, l'uva sultanina ed i pinoli (anche noci spezzettate, se vorrete).Ora arrotolate la pasta, partendo da uno dei due lati lunghi.Mettete la parte con la "giuntura" della pasta verso il basso, su un foglio di carta da forno, e tagliate il serpentone per il lungo, in due parti, con un coltello affilato.A questo punto afferrate la metà dell'impasto più vicina a voi e "ruotatela" delicatamente, in modo che l'impasto con il ripieno in vista sia "coricato" verso di voi. L'altra metà dell'impasto ruotatela con il ripieno verso l'alto. Formate una treccia, sovrapponendo alternativamente i due serpentoni, e chiudetela a ciambella (non abbiate paura: è facilissimo! Anche io pensavo che mi sarei impiccato nel farlo ma tutto è filato liscio).Spennellate la ciambella con del burro fuso e lasciatela di nuovo lievitare circa un'ora, fino al raddoppio, coperta a campana (io ho usato il coperchio del copritorta, ma va bene anche un'insalatiera).
Accendete il forno portando a cottura, 200° per circa 30/35 minuti, (ricordatevi inizialmente di impostare il forno sempre ad una temperatura di circa 30° superiore a quella richiesta per la cottura perché, aprendo poi lo sportello ed inserendo una "massa fredda" da cuocere, per forza di cose uscirebbe del calore e la temperatura si abbasserebbe per alcuni minuti; appena infornato impostate la temperatura del fuoco a 200°).
Nel frattempo preparate una glassa velante con l'albume e 4 cucchiai di zucchero a velo.
Appena tolta l'angelica dal forno spennellatela con la glassa e lasciatela nel forno spento per 5 minuti.

E NON PRENDETEVELA CON ME PER LA PROVA COSTUME !!!

Appendice del 2020: io vi consiglierei, come piano di lavoro, di acquistare su Amazon questa meraviglia qui...

11 novembre 2009

E CHE SO' PASQUALE IO ?!

E certo: sapevo che in meno di due giorni tutti i partecipanti al corso delle sorelle Simili sui "Dolci di Natale e il pane delle feste" avrebbero rifatto questo meraviglioso "Pane (Valenciano) de Hojaldre", quindi non potevo proprio tirarmi indietro ("E che so' Pasquale, io ?", parafrasando il mitico Totò).
I miei due filoncini sfogliati
Quindi, ieri sera, seguendo sommariamente le indicazioni delle "somme sorelle" ho panificato anche io questo pane, bello quanto buono. Come accennato non ho seguito proprio in pieno il loro procedimento, per mancanza di tempo, ed ho sostituito il lievito di birra con del lievito liofilizzato per il quale avrei dovuto allungare un po' i tempi della seconda lievitazione rispetto a quelli soliti con l'utilizzo del lievito di birra. Ma ho fatto tutto volutamente, visto che questo pane me lo volevo portare oggi in ufficio per spalmarci sopra del Philadelphia e mi piaceva farlo più "crostoso" e con meno mollica (la crosta è infatti la vera delizia di questo pane): quindi con l'impasto base (qui potete seguire tutto il procedimento classico, così come lo ha seguito Antonella) non ho fatto 4 panetti ma, praticamente, 2 filoncini somiglianti più a delle "spighette" che a delle "ciriole romane".
INGREDIENTI
Per il lievitino: 100 gr. farina 00
50 gr. acqua tiepida
4 gr. lievito di birra (io ho usato 1,5 gr. di lievito liofilizzato)
Per l'impasto: 500 gr. farina 00
250 gr. acqua tiepida
20 gr. olio evo
20 gr. lievito di birra (io 5 gr. di lievito liofilizzato)
10 gr. di sale
Olio q.b. per "sfogliare" (ungere i panetti)
PROCEDIMENTO
Impastare gli ingredienti per il lievitino e metterlo a riposo per circa 2 ore (più o meno fino al raddoppio) in una insalatiera coperta con la pellicola da cucina nella quale avrete praticati 2 o 3 fori.
Il lievitino messo a riposo con la pellicola forata
Con gli ingredienti dell'impasto fare la fontana, sciogliervi al centro il lievito con l'acqua tiepida, unire il lievitino spezzettato, il sale, l'olio e poi iniziare ad inglobare la farina. Impastare con delicatezza, senza sbattere l'impasto e dividerlo in due parti, facendo due filoncini. Lasciarli a riposo, coperti a campana, per 10 minuti. Dopodiche spianarli con un matterello fino ad ottenere due rettangoli di circa 20 x 30 cm. (aiutandovi con la mano a contenere l'impasto e per lasciare il bordo rettangolare, in quanto passando il matterello l'impasto tende a prendere una forma tonda ed a slabrarsi) per mezzo centimetro di spessore. A questo punto si possono dividere i due rettangono per il lungo, per ottenere quattro pani: io li ho lasciati a filoncini. Con un pennello di silicone ungere i rettangoli con l'olio, fino ad un paio di centimetri dal bordo, ed arrotolarli stretti partendo dal lato corto. Disporre i panetti su due teglie coperte con carta forno e con un coltellino molto affilato incidere i pani sulla faccia superiore, affondando lentamente fino a toccare quasi la teglia con la punta del coltellino, fermandosi a circa due centimetri dal "culetto" del filoncino. Coprire i pani con un canovaccio umido e far lievitare nel forno spento fino al raddoppio (io li ho lasciati solo per circa 45 minuti) .
Infornarli poi a 200° per 30/35 minuti, finchè saranno dorati.
Dritta delle "somme sorelle": inizialmente impostate sempre il forno ad una temperatura di circa 30° superiore a quella richiesta perchè, aprendo poi lo sportello ed inserendo una "massa fredda" da cuocere, per forza di cose uscirebbe del calore dal forno e la temperatura si abbasserebbe per alcuni minuti.

La spiegazione, la misurazione dell'impasto spianato ed il taglio per i pani

L'arrotolamento ed il taglio a sfoglia

10 novembre 2009

ARRIVEDERCI, DONNA FLORA

E così un altro romantico (ma "tosto") pezzo della Roma di tre decenni ci lascia e torna a far compagnia al suo amato Dino.
Buon viaggio, Donna Flora, e buon riposo...

04 novembre 2009

CARCIOFOLIAMOCI "CONTESTUALMENTE"

Partecipo volentieri al contest di GENNY, in collaborazione con LA COMPAGNIA DEL CAVATAPPI, per cogliere l'occasione di parlarvi di un alimento a me molto caro: il carciofo romanesco (anche se ancora non è stagione).
E, come romano, non poteva che essere così, visto che il carciofo è uno degli alimenti principi della cucina ebraico-romanesca: elemento principale di una coratella con i carciofi, dei carciofi al tegame (o "alla romana"), dei carciofi fritti in pastella, dei carciofi "alla giudia", ma anche di un risotto ai carciofi, di una fresca insalata primaverile, di una crema di carciofi o, addirittura, cotti alla brace...
Il carciofo (che in effetti è il fiore della pianta Cynara Cardunculus Scolymus), ed in particolare quello della varietà "romanesco",

che fa innamorare solo a guardarlo... più perfetto di una rosa, è un elemento fantastico per la cucina e la salute: ha infatti bassissimo apporto calorico ma è ricco di carboidrati, ferro, sodio, potassio, fosforo, calcio, di vitamine B1, B2, B3 e C; inoltre, grazie soprattutto alla "cinarina", è utilissimo per abbassare i livelli del colesterolo ed è un epatoprotettivo, favorisce la produzione di bile ed è un ottimo digestivo (ricordate il famoso Cynar, magari con Ernesto Calindri che lo sorseggiava perfino al centro di un incrocio congestionato da autovetture?) ed aiuta la depurazione dell'intestino oltre che ad abbassare i livelli del diabete in fase iniziale. Efficace addirittura, in tisana, contro la tosse.
Quindi cosa dire di più? E' bello da vedere (avete mai pensato a regalare un bel mazzo di carciofi piuttosto che uno di rose? No? ...fatelo!), ottimo per la salute e buonissimo in cucina (sia cotto che crudo). Infatti se ne conosce l'utilizzo gastronomico fin dagli egizi, in Europa dal I° secolo, ed è coltivato prevalentemente nell'area mediterranea, soprattutto in Italia, anche se ultimamente il Perù è risultato esserne il maggior esportatore mondiale. In Italia le maggiori zone di produzione sono nella Liguria (Spinoso), in Toscana (Violetto), in Sardegna (Spinoso e Violetto), in Sicilia e nel Lazio (Mammola o Romanesco), dove, nella campagna di Ladispoli, sul litorale romano, sono immense le piantagioni di carciofi. E proprio a Ladispoli, verso la metà del mese di aprile, da più di 60 anni viene organizzata la Sagra del Carciofo Romanesco, riproposto in diversi menù, dagli antipasti al digestivo, nei ristoranti del luogo. Il Carciofo Romanesco è anche un prodotto a denominazione I.G.P. (ne ho parlato in occasione di questo contest visto che come prodotto è inserito nella lista unica delle "Denominazioni di Origine Protette e delle Indicazioni Geografiche Protette Italiane").
Il carciofo romanesco, a differenza degli altri carciofi più "a punta", ha la caratteristica di avere il "capolino" quasi tondo: ha poco scarto di petali ed è quindi il più adatto ad essere cucinato ripieno o al tegame. La pianta produce diversi "fiori", anche una decina, contemporaneamente ma quello centrale, a Roma chiamato "cimarolo", è quello generalmente più grande e con il cuore più tenero: di conseguenza è il più pregiato ed il più costoso. Il cimarolo si usa soprattutto per le insalate a crudo, visto il suo intenso ma delicato sapore, condito soltanto con un buon olio a crudo, del limone spremuto, un pizzico di sale e qualche fogliolina di menta romana.
Una volta cotti vanno consumati preferibilmente in giornata mentre in frigorifero, se tenuti in condizioni ottimali, si possono mantenere addirittura per più di un mese.

Il periodo di produzione va, generalmente, dai primi giorni di febbraio a fine maggio ma, ora, attraverso delle "forzature" della pianta (che per questo viene rimpiantata a coltura al massimo ogni tre anni) si riescono ad ottenere dei raccolti già alla fine dell'estate, e fino quasi a Natale, almeno per alcune varietà.
Il massimo del risultato con i carciofi romaneschi si ottiene preparandoli "alla Giudia".
I carciofi alla Giudia sono un piatto tipico della tradizione gastronomica ebraico-romanesca, di facile realizzazione e di grande gusto (tra l'altro è divertente gustare, ad uno ad uno, i petali del carciofo sfogliandolo come una margherita).
Come detto la preparazione è semplicissima:
si prende un bel carciofo romanesco a persona (essendo golosi anche due :-D) e se ne monda il gambo (lasciandone solo il cuore lungo circa 8-10 centimetri) togliendo anche i primi due strati e le punte dei petali.

I carciofi con i gambi mondati (è bene tagliare anche la punta dei petali, che può risoltare dura e spinosa)

Mentre si puliscono gli altri carciofi quelli mondati si mettono a bagno in una bacinella o direttamente nel lavandino, dopo aver spremuto nell'acqua almeno un limone (per non farli annerire); magari lasciate a mollo anche i limoni spremuti. Si asciugano poi i carciofi e, afferrandoli per il gambo, si "battono" leggermente su un piano per farli aprire leggermente, così da facilitarne la cottura anche all'interno (dove si può mettere intanto un pizzico di sale). Si immergono poi, uno alla volta, nell'olio bollente (rigorosamente extra vergine di oliva, circa un litro) messo in un pentolino largo almeno 20 centimetri ed alto una trentina.

Mi raccomando: il pentolino deve essere capiente perchè il carciofo si "aprirà" con la cottura

La frittura deve durare dai 10 ai 15 minuti (a seconda della grandezza del carciofo). Quando il carciofo comincia ad indorarsi, ed ad "aprirsi" come un girasole, schizzare qualche goccia d'acqua fredda nell'olio: questo renderà ancora più croccanti i petali. Si mettono poi i carciofi a scolare su carta assorbente e si "condiscono" con un pizzico di sale e, volendo, di pepe.

BUON APPETITO e, mi raccomando,................ LECCATEVI LE DITA :-D