28 novembre 2011

MARCHE 2011 - LORETO

Cosa dire di Loreto?
E' una delle maggiori mete religiose italiane: il paesino è raccolto e deliziosamente affacciato a 360° sulle Marche.
Perfino io, che proprio devoto devoto non mi professo, sono rimasto affascinato dal complesso della Basilica della Santa Casa: visto che l'intero paese vive delle ondate di devoti, pensavo che fosse molto più votato alla vendita di ricordi religiosi, come in molti altri posti accade, invece ho trovato tutto molto "a misura umana"... dove si tocca quasi materialmente la fede dei fedeli che vanno nella basilica per ammirare la casa della Vergine Maria, portata qui in volo, attraverso varie tappe intermedie, direttamente da uno stuolo di angeli per salvarla dalle minacce musulmane. Proprio per questo la Madonna di Loreto è la protettrice degli aviatori (e per questo, appena fuori le mura della cittadina, si può ammirare uno splendido esemplare Aermacchi MB-339 delle Frecce Tricolori).
Da ammirare, oltre la basilica (cui lavorarono il Vanvitelli, Baccio Pontelli, il Bramante, il Sansovino, Giuliano e Antonio da Sangallo), la bella fontana sulla piazza (opera di Carlo Maderno e Giovanni Fontana) e due statue riproducenti alla perfezione Papa Sisto V e Papa Giovanni XXIII.
E se cercate un posto dove mangiare noi ci siamo trovati molto bene, devo dire a sorpresa, in quanto mi sarei aspettato una cucina un gradino più sotto come livello (praticamente turistica): ed invece abbiamo mangiato delle ottime tagliatelle ai porcini (con più porcini che tagliatelle) e braciola di cinta senese, a prezzi bassi (altra sorpresa) alla TRATTORIA NORMA, proprio alle spalle della basilica, sulla sinistra (in coda al post i riferimenti).

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La Santa Casa della Vergine Maria

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TRATTORIA NORMA: Vicolo P. Carlo A. Sertori, 6 (angolo Piazza Giovanni XXIII),
telefono 071 977300


16 novembre 2011

TIMBALLO DI ANELLETTI ALLA PALERMITANA (ALLA JAJO)

E rieccomi qui, ma stavolta senza niente di romano, anzi... questa ricetta è siciliana, palermitana per la precisione. Ho voluto assolutamente provare, durante le vacanze sicule dello scorso anno, questo piatto di cui avevo letto da diverse parti e... non ha deluso le aspettative, tanto che poi mi sono dato da fare per cercare gli anelletti anche a Roma e, da bravo ariete ascendente ariete, non mi sono dato per vinto e li ho trovati !
Come mio solito, però, ho voluto "rivisitare" la ricetta (ispirandomi a quella dell'amica EVELIN, palermitana DOC) e la voglio dedicare, vista la facilità di realizzazione, la bontà e... il sorriso che dona il semplice vedere il piatto pronto, ad Alice Ginevra ed ai ragazzi della Cooperativa Sociale Gulliver di Borghetto di Vara (che purtroppo non se la stanno spassando proprio bene in questi terribili giorni). Sono sicuro che Alice Ginevra non me ne vorrà se divido il suo "regalo" con loro.
Patrizia, che si è fatta promotrice di questa iniziativa tra blogger (mentre le sue due splendide figlie sono in strada a fare gli "Angeli del fango", cercando di far tornare per quanto possibile Genova alla vita di tutti i giorni) li ha presentati qui, ma confesso che non c'è bisogno di tante parole per sentirsi coinvolti: basta vedere le foto sul suo blog, o questo filmato al minuto 7, per partecipare a questa iniziativa (che non è un contest, un concorso ma ...semplice solidarietà umana), cercando di ridar loro quantomeno un sorriso che possa aiutarli a rialzare la testa, rimboccarsi le maniche e cercare di ricominciare, per la seconda o terza volta, una vita che non sarà più come prima e che lascerà immagini amare dentro i loro occhi per sempre.
Auguro ad Alice Ginevra di crescere sana apprezzando i buoni sapori, sperando non dica mai (ma di questo sono sicuro) "che schifo", come a troppi bambini sento dire ogni giorno; ed agli anziani, ai bimbi ed ai disabili della Cooperativa Gulliver auguro, invece, di poter guardare ancora con fiducia alla vita.
A tutti voi dedico questo

TIMBALLO DI ANELLETTI

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INGREDIENTI (per 6 persone):
500 grammi di anelletti
(io ho trovato i Tomasello ma li fa anche la Barilla)
3 salsicce macinate a grana grossa
funghi porcini secchi
200 grammi di piselli prelessati
mezza cipolla piccola
olio extravergine d'oliva
1 bottiglia di salsa di pomodoro
mezzo gambo di sedano
mezzo bicchiere di vino rosso secco
2 fette di mortadella (facoltativa)
pangrattato
parmigiano grattugiato
una grattatina di pepe nero

PROCEDIMENTO: ho preparato un soffritto con la mezza cipolletta, il sedano e l'olio, cui ho aggiunto dopo pochi secondi, le salsicce aperte e schiacciate con i rebbi di una forchetta.
Ho aggiunto il vino rosso e lasciato evaporare l'alcool, quindi ho aggiunto anche la salsa di pomodoro e mandato in cottura, a fiamma media, per una ventina di minuti.
Ho quindi aggiunto i funghi porcini, dopo averli fatti rinvenire in acqua calda (che ho unito, dopo averla filtrata, al sugo).
Dopo altri cinque minuti ho aggiunto anche i piselli (essendo fuori stagione ho dovuto usare quelli in barattolo) e terminato la cottura per altri 10 minuti circa, lasciando il sugo un po' liquido (ma non troppo).
Nel frattempo ho messo a cuocere gli anelletti, scolandoli al dente dopo 7/8 minuti ed unendoli poi al sugo, mescolando bene.
Ho unto una pirofila e l'ho spolverata abbondantemente con del pangrattato.
Ho fatto uno strato di anelletti al sugo (circa 3 mestoli), l'ho ricoperto con le due fette di mortadella e, quindi, con i rimanenti anelletti.
Con dell'altro pangrattato ho spolverato la padella in cui ho preparato il sugo, raccogliendo quello rimasto, e ci ho spolverato la superficie del timballo assieme a due o tre abbondanti manciate di parmigiano grattugiato ed una grattatina di pepe nero.
Ho infornato il tutto a 200° per una decina di minuti e servito non appena il forno ha iniziato a... profumare casa.

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Ad Alice Ginevra auguro buon appetito futuro...


Ai ragazzi (dai 0 ai 100 anni) della Cooperativa Gulliver (della quale qui sotto trovate il codice IBAN in caso vogliate donare, come farò io, qualcosa per aiutarli a ricostruire il proprio presente ed il proprio futuro) auguro.... in bocca al lupo, per la vita !

08 novembre 2011

MARCHE 2011 - CASTELLO DI GRADARA

Non ce la faccio già più a vedere cieli neri e pioggia: solo una settimana di brutto tempo (e fa ancora un caldo boia) e sono già purtroppo morte decine di persone in tutta Italia, con danni per milioni di euro...
Quindi mi rifugio nei post delle vacanze estive ricordando il bel tempo, il sole, il caldo, il mare e... oggi, il Castello di Gradara.
Gradara è un luogo, al confine tra Emilia Romagna e Marche, che ricordo con piacere, oltre che per i panorami, perché nelle vicinanze abbiamo mangiato veramente bene alla Canonica di Casteldimezzo, ospiti dei carissimi amici Irene e Andrea. Spero di poter ricambiare il pranzo al più presto e di passare un'altra splendida giornata in loro compagnia ! Non ce ne saremmo più voluti tornare a casa :-D
Gradara è da ricordare anche per un fatto luttuoso, oltre che probabilmente il più romantico di tutta la letteratura italiana: è qui che vennero uccisi, secondo la tradizione, Paolo il Bello e Francesca da Polenta. Detti così magari non vi dicono niente ma, se vi dico "Dante Alighieri"... la (divina) Commedia... Inferno Canto V... "Quali colombe dal disio chiamate...."
Aaaaahhhh, siiiiiii: QUEI Paolo e Francesca !!!
Una delle vette più alte della poesia mondiale di tutti i tempi.
Ebbene sembra che proprio qui Paolo e Francesca consumarono il loro casto amore e trovarono la morte per mano del fratello di lui, nonchè marito di lei, Gianciotto.
Quindi vi invito a godervi prima la rilettura del canto dantesco e poi a farvi una bella passeggiata per Gradara (potete anche fare l'inverso, se volete, ma vi consiglio di prendervi 5 minuti di tempo per rileggere una cosa che avete dentro il cuore e, forse, da troppo tempo non leggete).

Così discesi del cerchio primaio
giù nel secondo, che men loco cinghia,
e tanto più dolor, che punge a guaio.

Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:

essamina le colpe ne l'intrata;
giudica e manda secondo ch'avvinghia.

Dico che quando l'anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor de le peccata

vede qual loco d'inferno è da essa;
cignesi con la coda tante volte
quantunque gradi vuol che giù sia messa.

Sempre dinanzi a lui ne stanno molte;
vanno a vicenda ciascuna al giudizio;
dicono e odono, e poi son giù volte.

«O tu che vieni al doloroso ospizio»,
disse Minòs a me quando mi vide,
lasciando l'atto di cotanto offizio,

«guarda com'entri e di cui tu ti fide;
non t'inganni l'ampiezza de l'intrare!».
E 'l duca mio a lui: «Perché pur gride?

Non impedir lo suo fatale andare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare».

Or incomincian le dolenti note
a farmisi sentire; or son venuto
là dove molto pianto mi percuote.

Io venni in loco d'ogne luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
se da contrari venti è combattuto.

La bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
voltando e percotendo li molesta.

Quando giungon davanti a la ruina,
quivi le strida, il compianto, il lamento;
bestemmian quivi la virtù divina.

Intesi ch'a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento.

E come li stornei ne portan l'ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali

di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena.

E come i gru van cantando lor lai,
faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid'io venir, traendo guai,

ombre portate da la detta briga;
per ch'i' dissi: «Maestro, chi son quelle
genti che l'aura nera sì gastiga?».

«La prima di color di cui novelle
tu vuo' saper», mi disse quelli allotta,
«fu imperadrice di molte favelle.

A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,
per tòrre il biasmo in che era condotta.

Ell'è Semiramìs, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
tenne la terra che 'l Soldan corregge.

L'altra è colei che s'ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
poi è Cleopatràs lussuriosa.

Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi 'l grande Achille,
che con amore al fine combatteo.

Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille
ombre mostrommi e nominommi a dito,
ch'amor di nostra vita dipartille.

Poscia ch'io ebbi il mio dottore udito
nomar le donne antiche e ' cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.

I' cominciai: «Poeta, volontieri
parlerei a quei due che 'nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggeri».

Ed elli a me: «Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno».

Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: «O anime affannate,
venite a noi parlar, s'altri nol niega!».

Quali colombe dal disio chiamate
con l'ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l'aere dal voler portate;

cotali uscir de la schiera ov'è Dido,
a noi venendo per l'aere maligno,
sì forte fu l'affettuoso grido.

«O animal grazioso e benigno
che visitando vai per l'aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,

se fosse amico il re de l'universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c'hai pietà del nostro mal perverso.

Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che 'l vento, come fa, ci tace.

Siede la terra dove nata fui
su la marina dove 'l Po discende
per aver pace co' seguaci sui.

Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.

Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.

Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte.

Quand'io intesi quell'anime offense,
china' il viso e tanto il tenni basso,
fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?».

Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!».

Poi mi rivolsi a loro e parla' io,
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.

Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri,
a che e come concedette Amore
che conosceste i dubbiosi disiri?».

E quella a me: «Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.

Ma s'a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.

Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante».

Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangea; sì che di pietade
io venni men così com'io morisse.

E caddi come corpo morto cade.

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