31 maggio 2007

LA MIA PITTRICE PREFERITA: BERTHE MORISOT

Da sempre ho amato l'arte e la pittura, in particolar modo Monet, Renoir, Van Gogh, Manet, Benozzo Gozzoli, Magritte, tutto il gruppo dei Futuristi italiani ed i due geni "fuoriclassifica" Michelangelo e Leonardo da Vinci. Di donne, in effetti, nel mondo della pittura non se ne trovano molte ma soprattutto due di loro hanno lasciato un segno indelebile: la francese Berthe Morisot (unica donna a far parte del gruppo degli Impressionisti, cui non aderì mai Manet, pur essendone forse il principale ispiratore) e l'americana Mary Cassatt. Sicuramente la Cassat la ritengo più "tecnica" e "pulita" ma, amando la luminosità e l'apparente semplicità delle tele di Monet e Renoir, non potevo non innamorarmi di Berthe Morisot.

La sua pittura, dopo un inizio dedicato prevalentemente alla copia di opere rinascimentali esposte al Louvre (le donne non potevano nell'800 accedere ai Salon o partecipare ad esposizioni, ma lei fu la prima a farlo), è volta prevalentemente a riprodurre scene familiari di interni borghesi, società cui la sua famiglia apparteneva (infatti le sue modelle principali furono la sorella Edmé e la figlia Julie) e, soprattutto dopo la conoscenza di Manet, avvenuta nel 1868, a paesaggi "en plein air" (anche se sempre con la sorella Edmé a far da modella). La caratteristica principale delle sue tele è quella delle pennellate brevi ed intense ma piene di luminosità, data proprio da piccoli tocchi di colore molto chiari. Queste pennellate, appena accennate, e gli oggetti dal contorno indefinito danno la sensazione di osservare la tela attraverso un vetro smerigliato, quasi il quadro fosse avvolto da una nuvola.

Berthe Morisot nasce il 14 gennaio 1841 a Bourges, figlia di un importante funzionario statale. Dopo un’infanzia passata in provincia, dal 1855 si trasferisce con la famiglia a Passy. I genitori, in particolare il padre, le insegnano a disegnare e la incoraggiano a seguire gli studi artistici, accogliendo volentieri i suoi amici pittori, tra cui Edgar Degas. Nel 1857, con le due sorelle Yves ed Edmé, segue i primi corsi di disegno nell’atelier del pittore Chocarne: Berthe mostra subito un notevole talento, ma non potendo essere accettata all'Ecole des Beaux-Arts in quanto donna, è costretta a studiare privatamente nello studio del pittore accademico Joseph Guichard, che incoraggia Berthe e sua sorella Edmé a copiare i capolavori del Louvre). L’Ecole des Beaux-Arts accetterà le donne solo a partire dal 1897, proprio grazie all'opera ed alla "spinta" sociale data dalla Morisot al movimento pittorico femminile. Berthe è, inizialmente, praticamente costretta a lavorare al chiuso: al Louvre (dove due volte a settimana i pittori dilettanti si potevano recare a copiare le opere esposte) e nel suo atèlier, ricavatole dal padre in una grande stanza della loro abitazione parigina, ma la sua ambizione è quella di dipingere paesaggi. Guichard la presenta a Jean-Baptiste Camille Corot, sotto la cui guida imparerà a dipingere all'aperto. Corot si rivela un maestro esigente ed affida le due sorelle ad Achille Oudinot, che, a sua volta, le introduce nell’atelier di Charles Daubigny.

Berthe espone per la prima volta al Salon del 1864 (e lo farà fino al 1873), anno in cui, in occasione delle vacanze in Normandia, le due sorelle si accostano al pittore Léon Riesener, di cui Berthe in particolare apprezza i consigli illuminanti.
I genitori di Berthe, nel pieno rispetto dei cerimoniali borghesi dell'epoca, ricevono ogni settimana nella loro casa di Rue Franklin numerosi artisti, pittori e musicisti, che costituiscono un punto di lancio importante per le giovani sorelle Morisot.
Nel 1865, nel giardino della casa, viene costruito un atelier destinato alle due figlie e, in occasione del Salon di quell’anno, un critico segnala nei dipinti di Berthe "un senso delicato del colore e della luce".
A partire dal 1867 la sua tavolozza si definisce, facendo risaltare i colori chiari con un senso molto personale della luce. Fu nel 1868 che Berthe e la sorella conobbero Manet, durante una seduta di copia al Louvre. Questi, qualche tempo dopo, così commentò: "Le signorine Morisot sono incantevoli, peccato che non siano uomini".
Berthe era bella e giovane e Manet rimase affascinato dal suo sguardo e dal suo incantevole aspetto sin dal loro primo incontro e la ritrasse ben 11 volte come figura di rilievo nei suoi quadri nel corso degli anni.
Due delle tele più famose di Manet in cui appare Berthe: "Donna in nero" e - "Au Balcon"
Lo stile iniziale di Berthe risente dell'influenza di Corot, ma col tempo l'amicizia con Edouard Manet l'avvicina allo stile impressionista. Il suo tratto diventa più sciolto, dando un'impressione di immediatezza e di spontaneità. Nella sua tavolozza prevale il bianco, talvolta arricchito da decise pennellate di colore intenso e vivace, che risalta sul fondo scuro e le permette di realizzare delicate opalescenze; per aumentare questi effetti di luminosa trasparenza, Berthe unisce spesso i colori ad olio agli acquerelli.
Berthe subisce decisamente il fascino di Manet ma, pur avendo una grande ammirazione per la sua pittura, non sarà mai sua allieva. Di certo però il suo linguaggio pittorico appare subito di gran lunga più autonomo e personale di quello, ad esempio, di Eva Gonzalès, altra seguace di Manet.
Nel 1869, una vacanza presso la sorella Edmé, sposata e trasferitasi a Lorient, ispira a Berthe delle opere in cui l’osservazione rigorosa del paesaggio e la presenza femminile di Edmé si intrecciano in una sorta di sogno.
Nel luglio del 1870, l’esplodere della guerra franco-prussiana turba la dolce armonia dei suoi dipinti e richiama alle armi, tra gli altri, Manet, Degas, Bazille e Renoir. Berthe rifiuta di lasciare la città e resta per un certo tempo in Rue Franklin. Le privazioni, il freddo, l’incessante rumore dei bombardamenti minano in modo indelebile la sua salute. La famiglia Morisot ad un certo punto si rifugia a Saint-Germain-en-Laye, ma Berthe sogna il mare e l’inattività le pesa. Raggiunge allora la sorella a Cherbourg. Per rappresentare la fluidità dell’acqua e tradurre il movimento del mare, Berthe copre la tela di piccoli tocchi distinti pieni di luce. Sedotta dall’acquerello, vi si dedica con passione e la sua tavolozza si schiarisce.
Nel 1872, in occasione di un soggiorno a Madrid, scopre Vélasquez e Goya.
Nella sua vita Berthe Morisot, come le altre artiste del periodo, dovette lottare contro i pregiudizi di chi trovava disdicevole per una donna la professione di pittrice, tanto che, nel suo certificato di matrimonio prima e di morte poi, sarà identificata come "senza professione". I pregiudizi del tempo, con conseguenti difficoltà a dipingere all'aperto o in luoghi pubblici, la resero indifferente ed estranea alle questioni sociali che agitavano la vita parigina in quei decenni; Berthe si dedicò quindi a dipingere interni e scene domestiche, con donne eleganti della media e alta borghesia ritratte in casa o in giardino, in varie ore della giornata. Non fu però un'artista superficiale: un dato costante della sua arte è infatti l'analisi interiore dei personaggi, probabilmente influenzata in questo dall'amicizia con molti letterati, in particolare con Stéphane Mallarmé.
Nel 1873, la giuria del Salon accetta solo un’opera di Berthe Morisot e molti lavori di altri artisti vengono rifiutati. In segno di protesta un gruppo di artisti, come Monet, Pissarro, Sisley, Degas, Renoir, crea una "Société anonyme coopérative d’artistes peintres et sculpteurs" che espongono le loro opere dal 15 aprile al 15 maggio del 1874 negli ateliers del fotografo Nadar. Il dipinto di Monet "Impression, soleil levant" darà il nome al movimento impressionista.

MONET - Impression, soleil levant

Berthe partecipa a questa esposizione "alternativa", che in un mese richiama più di 3.000 persone, con opere come Le Berceau e La Lecture.

Le Berceau (la culla)

La sua presenza in quella rassegna è segno di indipendenza: il suo vecchio professore Guichard è inorridito ma, con la libertà di spirito che la caratterizza, lei esporrà regolarmente con il gruppo.

Nel 1874 Berthe sposa Eugène Manet, fratello di Edouard, da cui ha una figlia, Julie. Nell'aprile dello stesso anno espone, unica donna, alla Prima Mostra Impressionista, tenuta nello studio del fotografo Nadar, dove presenta nove opere tra acquerelli, pastelli e oli che ottengono buoni giudizi per la delicata vena poetica, ma anche derisione e giudizi negativi. Berthe sarà presente a tutte le edizioni successive, ad eccezione di quella del 1879, a causa della maternità, ed essa stessa finanzierà con il marito l'ultima edizione, quella del 1886, in cui prenderà parte attiva alla selezione degli artisti.

Eugène e Berthe trascorrono l’estate del 1875 nell’isola di Wight, dove realizza interessanti dipinti che mettono in evidenza la sua grande vena coloristica. L’unica figlia della coppia, Julie, nasce nel 1878 e diventa uno dei modelli preferiti della madre, che intanto partecipa a tutte le mostre degli impressionisti.

Nel 1880 sembra aver raggiunto la piena maturità e in occasione della quinta mostra impressionista può essere considerata una delle figure di spicco del movimento. Le composizioni hanno raggiunto un bell’equilibrio, che poggia sul nervosismo della pennellata e sull’armonia di colori. Dai suoi acquerelli, arte in cui Berthe Morisot eccelle, emana una sottile spontaneità piena di fascino. Berthe amò sempre confrontarsi con gli altri artisti e sperimentare, esulando dalle regole della pittura convenzionale, e solo intorno agli anni '90 sottopose i suoi lavori ad un più rigoroso controllo formale, nel timore di dissolvere troppo gli oggetti nei giochi di luce; testimonianza di ciò e il suo Ritratto di madame Sernicoli in poltrona.

Ritratto di Madame Sernicoli

Nel 1892 l’artista perde il marito e passa il suo tempo a dipingere, circondata spesso da Monet, Renoir, Degas e Mallarmè. La morte del marito scosse profondamente Berthe, che cominciò a distaccarsi dalla pittura e, pur essendo solo cinquantenne, a subire un precoce invecchiamento fisico, evidente nel ritratto Berthe Morisot e sua figlia Julie, ove l'artista appare malinconica, con i capelli bianchi e il volto segnato dalla stanchezza.

Autoritratto con la figlia Julie

Nel 1892 tiene la sua seconda personale da Boussod et Valadon, riscuotendo un buon successo sia da parte degli artisti che degli appassionati d’arte. Successivamente espone con successo dai galleristi Petit e Durand-Ruel, in Francia e negli Stati Uniti (grazie alla “promozione” che la pittrice Mary Cassatt fece in America dei pittori Impressionisti francesi). Col tempo diventò una delle personalità di spicco del gruppo impressionista e la sua casa fu un luogo di ritrovo per musicisti, pittori e letterati, tra cui Stéphane Mallarmé, Émile Zola e Pierre-Auguste Renoir.

Nel 1894 presenta il suo lavoro alla Libre Esthétique di Bruxelles, fra cui Intérieur. Nello stesso anno lo stato francese acquista, grazie a Mallarmè, il dipinto Le Bal.

Negli ultimi anni Berthe continuò a dipingere e a esporre presso la galleria Boussod e Valadon, fino alla morte, che la colse a Parigi il 2 marzo 1895, a 54 anni, in seguito a una congestione polmonare.

La retrospettiva postuma del 1896 da Durand-Ruel riscuote il plauso unanime della critica, che riconosce il valore universale della sua pittura: la freschezza della sua opera, il suo modo delicato di trattare la luce, la sensualità della sua gamma cromatica fanno di lei un’artista di particolare interesse anche per i temi sviluppati in grande semplicità nell’ampio contesto della vita di tutti i giorni.

Fasi alterne ha avuto la fortuna critica di Berthe Morisot, come in generale per tutti i pittori impressionisti: spesso ritenuta solo una pittrice del bel mondo, dunque non una professionista, oggi la sua considerazione è completamente ribaltata ed innegabile resta il contributo che apportò al movimento impressionista ...lo charme, il lirismo e la delicatezza, che hanno contribuito a segnalarla, insieme a Mary Cassatt, come la pittrice più importante del diciannovesimo secolo. Probabilmente il suo lavoro non raggiunse i vertici di innovatività e rottura, cui pervennero figure fondamentali come Pissarro, Monet e Renoir, ciononostante colpisce l'enorme squilibrio tra il numero esiguo di mostre a lei dedicate e l'invadente imperversare di mostre grandi e piccole incentrate sulle figure dei suoi colleghi. Spostando l'attenzione dalle mostre alle opere dell'artista presenti nelle collezioni permanenti dei musei purtroppo il discorso non cambia di molto: infatti, i musei che possiedono opere di Berthe Morisot non sono molti, e la stragrande maggioranza ne possiede una sola. Berthe Morisot in vita non ha prodotto molto, il catalogo delle sue opere risulta limitato a circa 300 opere, ma questo non può spiegare l'impressionante divario che la separa dai suoi colleghi. In molti grandi musei europei Berthe Morisot non è presente. Ma il dato che colpisce maggiormente è l'esiguo numero di opere visibili nei musei francesi. Di fatto, per vedere opere di Berthe Morisot occorre recarsi negli Stati Uniti. Ma anche qui, se si eccettua la National Gallery of Art di Washington, che ne riunisce un certo numero, occorre saltare di museo in museo, di città in città. Da tenere presente che alcune delle tele più importanti si trovano tuttora in mano privata, perlopiù, ancora una volta, americana.

Una veloce galleria di opere di Berthe Morisot

BAMBINA CON CAPPELLO

DONNA CON PARASOLE NEL PARCO
BAMBINE CHE GIOCANO
ALLO SPECCHIO
AL BALLO
GIOVANE DONNA POGGIATA SUL GOMITO
GIOVANE DONNA NEL PARCO
GIOVANE DONNA CON VESTITO DA BALLO
ESTATE
LA COLAZIONE
IL RISVEGLIO
IL PORTO A LORIENT
GIOVANE DONNA SUL SOFA'

29 maggio 2007

UN ANGOLO DI PACE

Purtroppo, dopo che venerdì 25 maggio, un albero si è abbattuto tra le lapidi ed i visitatori, il Cimitero Acattolico è stato chiuso al pubblico. Ma l'albero caduto è stato soltanto la goccia che ha fatto traboccare il vaso: in effetti il cimitero è stato chiuso perchè, oramai da diversi mesi, il Comune di Roma e le Ambasciate estere (14) che per decreto lo finanziavano, hanno smesso di erogare i fondi necessari alla manutenzione dello spazio (soltanto 200.000 euro l'anno, da dividere tra 15 Enti).
Per rendere omaggio ad uno dei luoghi più affascinanti e romantini di Roma ripubblico il mio post dell'ottobre scorso.
E questo è l'articolo apparso oggi, 29 maggio, sul Messaggero:

Martedì 29 Maggio 2007
Le collette liberamente offerte dai visitatori nel Cimitero acattolico della Piramide Cestia, «non bastano più. Servono soldi per mantenere un patrimonio come questo», spiegano gli uomini della manutenzione, «il cimitero è abbandonato a se stesso». E da ieri è stato chiuso al pubblico.«Dopo l’incidente di venerdì - spiega Paolo Trivisonno, segretario Provinciale della Fesica (Federazione sindacati industria commercio e artigianato) Confsal (Confederazione generale sindacati autonomi lavoratori) - Un grande albero è caduto tra i visitatori e gli operai del Cimitero, abbiamo toccato il fondo». E poi aggiunge: «A questo si è arrivati dopo anni di totale disinteresse da parte delle ambasciate estere che lo gestiscono, ma anche delle istituzioni italiane, che nulla hanno fatto per far sopravvivere questo luogo. Ed è proprio a causa di questa gestione irresponsabile, che un pezzo di storia di Roma versa in condizioni indegne. Sono anni che chiediamo alle ambasciate che compongono il comitato di gestione del Cimitero Acattolico di impegnarsi a corrispondere una quota annuale (cifra quasi irrisoria, fra i 150.000 e i 200.000 mila euro, da dividere per 14 ambasciate), per garantire interventi importanti)». L’anno scorso, per far sì che uno dei luoghi della memoria più preziosi della città, non scivolasse nel degrado, erano scese in campo organizzazioni internazionali. «Ma visti i risultati a poco è servito», dicono gli operatori del Cimitero. Il New York Times e l’Herald Tribune avevano addirittura lanciato appelli: «Questo prezioso angolo di paradiso è in decadenza e in crisi finanziaria, tanto da essere inserito nella Word monument fund’s list 2006», scrivevano. Si tratta, per chi non lo sapesse, di un elenco in cui sono inclusi i tesori del pianeta in via di estinzione.E di tesori in questo caso effettivamente si tratta. L’urna con le ceneri di Antonio Gramsci, le tombe dei poeti Shelley e Keats, dello scrittore milanese Carlo Emilio Gadda e dell’unico figlio di Goethe rischiano l’insulto dell’abbandono. Principi russi, nobili e intellettuali riposano a ridosso delle Mura Aureliane nel totale degrado. Oscar Wilde, durante la sua lunga permanenza a Roma definì i sepolcri della Piramide «il luogo più sacro» della città. Oggi tra lapidi, tombe e monumenti vi sono rappresentati tutti gli stili dell’arte funeraria. Il cimitero è un luogo privato, frequentato soprattutto da non italiani. «Dei 2.500 defunti che qui sono sepolti - spiegano dagli uffici del cimitero - soltanto 500 hanno ancora parenti in vita e in grado di pagare i 350 euro l’anno che chiediamo. Ma andando avanti così si rischia il degrado». Che sarebbe un affronto per i morti e per i vivi.
Penso abbiate oramai capito quanto io sia un tipo strano e per questo mi sembrate pronti a leggere qualcosa su… un cimitero. Non un cimitero “qualunque” ma il Cimitero Acattolico di Roma. Visto che la Chiesa nel ‘600 e ‘700 vietava che i non cattolici (oltre che i suicidi, le prostitute ed i teatranti) venissero seppelliti in “territorio cristiano”, si dovettero creare nuove aree dove seppellire, rigorosamente di notte, tali corpi, appena fuori delle mura cittadine. Per questo motivo esistevano, al tempo, un cimitero degli attori (presso Porta Pinciana) ed uno degli Ebrei (nell’area in cui attualmente sorge il Roseto comunale, sul colle Aventino, di cui vi ho parlato pochi post più sotto). Il cimitero di cui vi voglio parlare accoglie "non cattolici" di ogni nazionalità: italiani (Gadda; Gramsci),
La semplice tomba di Gramsci
americani (Corso, poeta della Beat Generation; Simmons, scultore e pittore; Wetmore, scultore autore del meraviglioso “Angelo del dolore”),
russi,
cinesi, greci,
scandinavi

La tomba di Andersen
ma soprattutto tedeschi (il figlio di Goethe; l’architetto Semper) ed inglesi (Severn, pittore e console a Roma nonché amico di Keats, accanto al quale è sepolto;
Le lapidi delle tombe di Keats e Severn
Symmonds, poeta; Trelawny, autore ed amico di Shelley, cui è sepolto accanto)

Le lapidi di Shelley e Trelawny
di ogni periodo, dal 1738 ad oggi, anche se il cimitero venne “ufficialmente” aperto nel 1821.
Tra i curati vialetti, contornati di verdi siepi,
di pini e cipressi si possono ammirare le tombe di John Keats (1795 – 1821, morto a Roma di tubercolosi, il cui epitaffio recita: Questa tomba contiene i resti mortali di un GIOVANE POETA INGLESE, che sul suo letto di morte, nell’amarezza del suo cuore, per il potere maligno dei suoi nemici, desiderò che queste parole fossero incise sulla sua pietra tombale: Qui giace colui il cui nome fu scritto sull’acqua ed alla quale "risponde" una vicina lastra marmorea: "Keats! Se il tuo caro nome fu scritto sull'acqua, ogni goccia è caduta dal volto di chi ti piange"),
La targa rivolta a Keats
e Percy Bysshe Shelley (1792 – 1822) affondato con il suo vascello in acque toscane. La sua tomba è proprio all’ombra delle Mura Aureliane. Un particolare romantico, anche se un po' macabro, riguarda la sua morte: il suo corpo venne cremato a Viareggio ma il suo amico Trelawny “strappò” il cuore dell’amico alle fiamme e lo portò alla sua vedova, Mary (celeberrima autrice del romanzo Frankenstein), e con lei venne sepolto in terra inglese qualche anno dopo.
Ci sono diverse statue nel cimitero: la più bella è, senza dubbio, lo straziante “Angelo del Dolore”, sulla tomba di William Wetmore (1819-1895), che ne fu anche l’artefice. Il realismo e la straziata posa dell’angelo lasciamo senza parole.


Due immagini dell'Angelo del dolore sulla tomba di Wetmore
Il cimitero, che sorge tra la Porta San Paolo (anticamente chiamata Ostiensis, perché da lì partiva la strada che collega ancora oggi Roma ad Ostia), la Piramide di Caio Cestio, le Mura Aureliane ed il Monte Testaccio, in una zona che, fino a quasi la metà dell’‘800, faceva parte dell’Agro Romano, ora pieno centro. Il fatto che le tombe fossero in campagna aperta (non c’erano né mura né staccionate a proteggerle) e, quindi, facilmente profanabili da ubriachi o fanatici religiosi, spinse nel 1817 i diplomatici di Prussia, Russia e Ducato di Hannover a richiedere al Cardinal Consalvi, Segretario di Stato Vaticano, il permesso di recintare a proprie spese il cimitero. Pur essendo di parere contrario il cardinale concesse, dopo quattro anni e su sollecitazione inglese, il permesso e provvide alla recinzione dell'area a spese del Vaticano. Nel 1894 l’ambasciata di Germania acquistò ulteriori terreni ed il cimitero venne ampliato.
Alcuni monumenti storici circondano il cimitero e lo rendono ancora più unico al mondo: la Porta San Paolo, la Piramide di Caio Cestio, che altro non è se non un monumento sepolcrale del pretore ( = magistrato civile responsabile della Giustizia), tribuno della plebe ( = magistrato che patrocinava gli interessi della plebe) e settemviro degli Epuloni ( = sacerdote preposto all’organizzazione di banchetti dedicati agli Dei), Caio Cestio, vissuto nel I° secolo a.C.. La piramide venne costruita in 11 mesi ed abbellita con rivestimenti in lastre marmoree.

Vista della parte vecchia del cimitero acattolico delimitata dalla Piramide di Caio Cestio e dalle Mura Aureliane sulla destra; sulla sinistra si intravede la Porta San Paolo
Nel III° secolo venne inglobata, come al tempo usava, nelle Mura Aureliane e divenne, con la Porta San Paolo, parte integrante della cinta muraria difensiva di Roma. Volute dall’imperatore Aureliano per difendere la città dagli assalti dei barbari, le mura si sviluppavano per 19 km. ed erano dotate di torri a pianta quadrata ogni 30 metri circa e di numerose porte d’accesso, fiancheggiate da torri semicircolari. Tra due torri potevano aprirsi delle porte minori (posterulae). Con vari restauri hanno difeso la città fino al 1870 ed ancora oggi sono lì a rappresentare la grandezza di Roma. Il Monte Testaccio (Mons Testaceus = Monte dei Cocci) è una collina artificiale alta una trentina di metri e con una circonferenza di circa 1 km. Si è formato con gli ammassi delle anfore rotte che venivano scaricate in epoca romana (II° - IV° secolo d.C.) nel vicino porto cittadino, ora quasi totalmente perduto.
In fin dei conti si tratta di una parte di Roma poco frequentata dai turisti, ed ancora meno dai romani, ma invasa dal traffico. Ed io voglio renderle un po' dell'onore che merita, sperando di invogliarvi a farci una passeggiata.
Ora qualche altra immagine curiosa o toccante del cimitero:
Due tombe di bambini
Due tombe di poeti
Nel cimitero acattolico sono sepolti anche... "mici"

25 maggio 2007

L'oro di Napoli - Eduardo DeFilippo - 'o pernacchio

Dopo una passeggiata insieme ai "fratelli Caponi (che siamo noi)" di Totò, Peppino e la Malafemmena, o le taccagnerie di Titina DeFilippo in Totò, Peppino e i fuorilegge, non poteva mancare un altrobrano storico del cinema italiano: il PERNACCHIO di Eduardo al Duca Alfonso Maria Di Sant'Agata de Fornari, nel film L'oro di Napoli.
Io piango ogni volta che rivedo questi brani... godeteveli anche voi :-D

23 maggio 2007

ONORE AL MERITO

Al Milan campione d'Europa ancora una volta.
Ed a SuperPippo Inzaghi, ancora una volta spietato quanto antipatico... ma grandioso (almeno quanto Ringhio Gattuso).





21 maggio 2007

GIGLIO E GIANNUTRI CON... I VERI GIOVANI

E si !! Per concederci un "break" abbiamo approfittato di una minicrociera di quelle proposte dal cral dell'ufficio a Giannutri ed al Giglio. All'appuntamento per la partenza, per fortuna, della SIAE eravamo solo noi mentre tutti gli altri erano (in misura molto vicina al 95% del totale) anziani ex dipendenti di altri enti: forse proprio per questo la giornata è scorsa allegramente e velocemente, malgrado le quasi 4 ore di pullman (da Piramide all'Argentario - siamo partiti con la motonave da Porto Santo Stefano - e ritorno) e le oltre 2 ore di navigazione: gli anziani, se in buona salute, sono le persone più allegre e divertenti e quelle che meglio si sanno godere la vita in spensieratezza.
Alle 6,45 sono già tutti "pimpanti e chiacchieranti" ed alle 9, quando si arriva all'Argentario, sono loro a lanciare l'assalto ai posti migliori sulla motonave, quasi travolgendo l'accompagnatrice. Neanche 10 minuti e, dopo il caffè di rito, a bordo escono i primi mazzi di carte: da Porto Santo Stefano a Giannutri (un'oretta di navigazione lungo il promontorio dell'Argentario, circomnavigando il quale il capitano ci elenca i nomi di tutti i proprietari delle ville più belle: praticamente sono tutti..... CARCERATI: Ricucci, Previti ecc.....) sarà tutta una Briscola !!!
Il "polso" a sinistra è di Claudia... mentre guarda le nuove "amichette" giocare a Briscola :-D
Hehehehehe mi ha minacciato con propositi infami in caso avessi messo questa foto sul blog :-D

La bellezza di questi gruppi è che si vede di tutto: dal "Filini" in bermuda e sandali con immancabile guida turistica, a quello con il borsello e il gilet milletasche, a quello con giacca e cravatta, a quella con il sandalo con tacchi di 8 centimetri e vestito da matrimonio. Una cosa, comunque, accomuna tutti, soprattutto le donne: sono totalmente ricoperte di gioielli d'oro e sono lì esclusivamente per divertirsi !!!
Il mare è una tavola è in un'ora scarsa si arriva a Giannutri (a proposito... l'Arcipelago Toscano è composto da sette isole, che da nord a sud sono: Gorgona, Capraia, Elba, Pianosa, Montecristo, Giglio e Giannutri). L'isola è praticamente disabitata (solo 20 persone residenti) ma piena di verde e gabbiani, ed è un piacere passeggiare sotto il primo caldo sole (anche se le strade sono un po' polverose): l'intero territorio dell'isola (a parte due "corridoi" marini per permetterne l'accesso) è territorio protetto e flora e fauna sono intoccabili.

Cala Maestra

No... non è Luna Rossa
Passeggiando per Giannutri La Cala "Lo Spalmatoio"
Uno splendido papavero gigante
Il Giglio vista da Giannutri
In onore di KIX la foto di due battelli di subacquei (che a pranzo, poi, si sono affiancati al nostro) L'accesso alla "Piazzetta" di Giannutri
Resti romani
Un angolo di Paradiso
Resti della "Villa Domizia"
Purtroppo la bellezza del Parco Nazionale è offesa dallo scempio di una bandiera... :-D
Colori della vegetazione di Giannutri
Dopo la passeggiata nella natura incontaminata dell'isola, tra cui spiccano i cespugli odorosissimi di rosmarino, si torna a bordo dove ci aspetta il pranzo: l'orario di "rientro" sarebbe le 13 ma alle 12,35 tutti i "vecchiacci famelici" sono già sul piccolo molo... E devo dire che hanno perfettamente ragione: il risotto di mare (cotto in un pentolone del diametro di oltre un metro, che a malapena entrava nella cucina di bordo) è forse il migliore che abbia mai mangiato, così come il mega misto di cozze in guazzetto con scampi e gamberoni. Il bis è d'obbligo per entrambe le portate: il bello è che per chi è intollerante al pesce il cuoco di bordo ha preparato delle penne all'arrabbiata (di cui ovviamente i "nostri" non hanno lasciato traccia !!!). Per finire una bella crostata "prefabbricata" e acqua e vino a volontà. Alle 14,30 ci butteremmo tutti sull'amaca ed invece si riparte verso il Giglio.
Lo splendido misto di cozze, scampi e gamberoni
Sulla via verso il Giglio ci accompagnano dei gabbiani che vengono a mangiare briciole di pane direttamente dalle mani.
E ci intrattiene la lettura di un articolo del Regolamento di Navigazione della Real Marina.
Arrivati al Giglio ci concediamo una passeggiatina per le stradine di Giglio Portoed una mezzoretta di sole sulla spiaggia di Punta Gabbianara.
Non è neanche necessario immergersi per godere la vista di uno splendido "acquario"
La Adriatic Princess II

E' inutile dire che per tutta la navigazione di ritorno i nostri amici di viaggio non hanno fatto altro che..... BALLARE scatenati sulla nave.

E adesso non vediamo l'ora di partire per la prossima avventura non i nostri nuovi "amichetti".