25 marzo 2011

MATTONELLA ALLA FARINA DI FRAGOLE

Certo non verrò ricordato come colui che ha scoperto l'acqua calda (che, comunque, non è tutta questa cosa scontata e almeno un busto in bronzo al personaggio che, con la sua scoperta, ci ha permesso tutti i giorni di prepararci un bel piatto di pasta dovremmo pur erigerlo...) però mi piace ogni tanto fare una scoperta in cucina.
Un paio di mesetti fa, passeggiando per il blog di ADY ho scoperto l'essiccatore che le aveva permesso di fare delle farine di ortaggi "home made": dopo il primo momento di sgomento e, richiusa la bocca dopo una decina di minuti per il passato stupore, OVVIAMENTE ESSICCATORE FU! (grazie soprattutto alla mia Claudia che me lo ha regalato per il nostro anniversario).

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Primo esperimento con la primizia di stagione... Miss Fragola.
Per essiccare le fragole bisogna lavarle bene, asciugarle altrettanto bene e tagliare in fette di circa 3 millimetri di spessore. Si dispongono le fette di fragola nei vai scomparti dell'essiccatore (da 3 a 5, in genere), si imposta la temperatura dello stesso su 55/60 gradi e si lasciano per almeno 8 ore al calduccio (che ve lo dico a ffa' il profumo che emanano ?).
Dopodichè potrete decidere se lasciarle così (mangiandone una dopo l'altra come fossero ostie golose) o se tritarle, più o meno grossolanamente.


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E, allora, dopo tutta questa inutile chiacchierata, sarete pronti a gustare un quadratino di

MATTONELLA ALLA FARINA DI FRAGOLE

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INGREDIENTI (per una tortiera quadrata di 24cm. di lato):
170 gr. di zucchero
220 gr. di farina
270 ml. di latte
100 gr. di farina di fragole *
1 cucchiaio di olio
1 bustina di lievito Pane degli Angeli

* 100 grammi di farina di fragole si ottengono con 3 cestini di fragole fresche

PROCEDIMENTO: versate nella planetaria tutti gli ingredienti secchi ed iniziate a far girare la frusta a velocità media (3); aggiungete il latte freddo ed il cucchiaio di olio ed aumentate (5) la velocità di impasto.
Dopo circa un paio di minuti spegnete la planetaria e versate il composto in una teglia da torta (con cerniera è meglio).
Lasciate riposare l'impasto 10-15 minuti, mentre il forno si scalda, e poi infornate a 200° per 25 minuti, comunque fate la prova stecchino.
Lasciate raffreddare completamente la mattonella e poi tagliatela a quadrotti.

A causa del peso della "farina" di fragole (che io ho lasciato volutamente in fiocchi) la torta lieviterà poco: in caso la vogliate invece più alta, magari per poterla farcire con un ripieno di panna oppure di crema, arricchita ovviamente con pezzetti di fragola fresca, potete tritare più finemente le fragole oppure aumentare la quantità di lievito ed il tempo di lietivazione prima di infornare.

La consistenza della mattonella (pur senza miele ma grazie alle fragole in fiocchi) è simile a quella del pain d'epices... si scioglie in bocca.

22 marzo 2011

CIPOLLE GRATINATE

In questo blog si parla poco di contorni, ed allora provvediamo subito con una ricetta della memoria.
Avendo finalmente avuto occasione di fare la spesa al mercato di sabato mattina, invece del solito supermercato di fretta e furia, vi ho trovato delle belle cipolle "da forno" e subito mi sono tornate in mente quelle belle cipolle gratinate che nonna, quando eravamo in vacanza a Castel San Pietro Romano, preparava, generalmente il sabato (assieme a zucchine e peperoni, sempre gratinati, ed ai suoi inimitabili pomodori al riso), quando, due volte a settimana, era in funzione il forno a legna. Che bei ricordi quel forno: il martedì ed il sabato mattina, dopo che le paesane avevano portato a cuocere le pagnotte fatte in casa, era possibile, pagando poche lire, far infornare le teglie con le verdure. Non vi dico il delirio di profumi e colori: pane, peperoni, cipolle, pomodori al riso. E che ricordi quelle corse su per i sampietrini bianchi del corso del paese tenendo le teglie ancora roventi con un canovaccio da cucina, attenti a non scottarsi e a non farle cadere. In due o tre minuti si era dal forno a legna alla tavola pronti a gustare le

CIPOLLE GRATINATE

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INGREDIENTI (per 4 persone):
12 cipolle "da forno"
(a noi piacciono MOLTO :-D)

pangrattato
olio extravergine
un pizzico di sale
un pizzico di pepe
(volendo) foglie di prezzemolo

PROCEDIMENTO: semplice e veloce!
Togliere il primo strato di petali alle cipolle e scottarle in acqua bollente con un cucchiaio di aceto per una decina di minuti, lasciandole soltanto ammorbidire leggermente.
Asciugarle e tagliarle a metà per il lungo.
Bagnarle in superficie con poche gocce d'olio e spolverarle con un pizzico di pepe, di sale ed abbondante pangrattato.
Volendo si possono aggiungere delle foglie sminuzzate di prezzemolo (ma c'è chi aggiunge anche capperi o parmigiano grattugiato).
Infornare a 180/200 gradi per 25/30 minuti, dipende dalla grandezza delle cipolle.
Servire tiepide o fredde.
P.s.: la preventiva "sbollentata" fa si che le cipolle risultino digeribili e che non si abbiamo problemi... di alito.

10 marzo 2011

FUSILLI AGLI SCAMPI

Questa ricetta partecipa al contest "UNA RICETTA PER IL SANTA LUCIA" lanciato da Caris, una mamma (foodblogger) il cui bimbo ha purtroppo bisogno di questa struttura riabilitativa romana.


Con l'ingrediente principe di questa ricetta voglio quindi un po' (sdrammatizzando) giocare sul nome per questa causa che è socialmente importante per tutti i romani e non solo: la sopravvivenza dell'Istituto Santa Lucia.
La Fondazione Santa Lucia si occupa della riabilitazione neuromotoria dei pazienti (bambini compresi) fin dal 1960. Io ho avuto mio suocero ricoverato lì per molti mesi e, anche se alcune cose non mi hanno convinto appieno, non voglio far mancare il mio appoggio ad una struttura che dona la speranza di poter tornare (o raggiungere) alla normalità a centinaia di persone.
Tra l'altro non voglio dimenticare il gruppo sportivo della fondazione che, nel nuoto (in cui sono campioni d'Italia ininterrottamente dal 2004) e nel basket in carrozzina, ha portato a casa, nel corso di decenni di storia, centinaia di medaglie e di titoli italiani ed europei.
Quindi, speriamo che per il Santa Lucia ci siano nuovi fondi ed una via di scampo che possa garantirne la sopravvivenza; intanto io vi invito a gustare un bel piatto di.....

FUSILLI AGLI SCAMPI

INGREDIENTI
(per 2 persone):

10 scampi grandi
300 gr. di fusilli
mezza cipolla piccola
2 cucchiai di panna da cucina
2 cucchiai di latte
mezzo bicchiere di vino bianco
mezzo bicchiere, scarso, d'acqua
olio
sale
2 rametti di prezzemolo
1 peperoncino piccante

La ricetta avrebbe dovuto essere golosa o "colorata", in modo da alleviare le sofferenze di tanti bimbi (e genitori) che giornalmente si sottopongono allo stress delle terapie di rieducazione ma preferisco postarne una "in bianco" perchè mi piacerebbe che questo fosse il colore dell'animo... di chi potrebbe fare qualcosa di serio per questa come per tante altre strutture (ed invece fa esattamente l'opposto).

PROCEDIMENTO: pulire i 10 scampi togliendo l'esoscheletro, le teste e le code e mettendo da parte la polpa di 8 scampi. Mettere, invece, tutti gli "scarti" (oltre alla polpa dei due scampi rimasti) in una padella antiaderente.
Fare un soffritto veloce con mezza cipolla tagliata finemente a coltello, il prezzemolo ed un paio di giri d'olio a cui aggiungerete poi l'acqua, il vino ed il peperoncino, aggiustando di sale.
Dopo 4 o 5 minuti (a fuoco mediobasso) aggiungere la panna ed il latte mescolando bene il tutto. Lasciar addensare per altri 2 o 3 minuti, in modo che gli scampi rilascino tutto il loro sapore al fondo di cottura, quindi togliere dal fuoco e frullare TUTTO (scampi e fondo) molto finemente.
Filtrare la "mappazza" ottenuta al colino, ricavandone un fondo vellutato che rimetterete in padella aggiungendovi la polpa degli otto scampi ridotti in dadolata.
Nel frattempo cuocere al dente i fusilli e, un paio di minuti prima di scolare la pasta, accendere la fiamma sotto la padella con il fondo e gli scampi.
Scolare la pasta e gettarla immediatamente nella padella, condendola bene con la cremina di scampi.
Guarnire il piatto con foglioline e pezzettini di prezzemolo e servire immediatamente.


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08 marzo 2011

IN RICORDO DI DIECI DONNE EROICHE

Questo post è dedicato a tutte le donne morte o che anche solo hanno lottato e lottano per un ideale, per la dignità e per la libertà.

Pochissimi romani, forse neanche tutti quelli che transitano giornalmente sul Ponte dell’Industria (o Ponte di Ferro, come lo chiamano i cittadini della Capitale) e che possono notare la piccola targa posta sulla spalletta destra andando in direzione di Piazzale della Radio, conoscono quest’episodio, che tra l’altro nessun libro di storia riporta.

10 DONNE

Mi riferisco ad un truce eccidio avvenuto il 7 Aprile 1944 nei pressi del ponte suddetto, che collega la Via Ostiense alla Portuense ed a Viale Marconi.
Sulle rive del Tevere, a quel tempo, era attivo un molino/panificio, il Tesei, che riforniva di pane e fungeva da deposito vettovaglie per le truppe tedesche che avevano invaso la città.
Roma, infatti, era al settimo (dei 9) mese d’assedio nazista (nonché al quinto anno di guerra) ed i viveri, peraltro scarsissimi, venivano distribuiti soltanto previa esibizione di una tessera annonaria. Con l’acuirsi della crisi la razione pro-capite del pane venne diminuita da un etto e mezzo ad un etto soltanto e ciò aveva già causato una serie di manifestazioni di protesta da parte di madri di famiglia nel quartiere Appio. Il 6 aprile 1944 un camion carico di pane scortato da militi fascisti fu preso d'assalto, a Borgo Pio, da una folla affamata e disperata e nello scontro uno dei miliziani fascisti perse la vita. Al Tiburtino Terzo alcune donne avevano cercato di introdursi in un deposito di granaglie e, nel tentativo di respingerle, fu uccisa Caterina Martinelli, madre di sette figli. Quindi l’assalto ai forni, da parte della popolazione stremata dalla fame, era un’azione già accaduta in diversi quartieri di Roma: ovviamente, essendo effettuato esclusivamente da donne, anziani e bambini (gli uomini erano stati, volenti o nolenti, arruolati nelle truppe fasciste), erano assalti di popolo, senza armi e senza violenza, “una cosa da donne”. Era quindi consuetudine che, allo spargersi incontrollato della voce che in qualche negozio era arrivato del pane o altri generi alimentari, immediatamente la folla accorreva per arrivare a prendere qualcosa, prima che le razioni terminassero. Finiva sempre che queste donne del popolo, spinte dalla fame e dalla disperazione di dover provvedere in qualunque modo al sostentamento dei figli, assaltassero il negozio in questione portando via quanto possibile. In genere i militi della Polizia Africana Italiana ed i tedeschi intervenivano con degli arresti o qualche sparo in aria, ma tutto finiva. lì
Quel venerdì di Pasqua del ’44 un gruppetto di donne marciò sul molino Tesei, favorito anche dalla complicità del direttore italiano del magazzino che, probabilmente con un espediente, aveva dirottato ad altre mansioni i vigilanti tedeschi; le donne riuscirono quindi ad impossessarsi di alcuni sacchi di farina e di qualche chilo di pane ma, tradite evidentemente dalla spiata di qualcuno (magari proprio altre popolane invidiose in quanto estromesse dall’azione), vennero scoperte ed inseguite dalle Camicie Nere fasciste e dai vigilanti delle SS. Una decina di loro vennero catturate proprio sulla sponda del Tevere. Stanchi dei continui assalti popolari ai forni, fascisti e tedeschi decisero, in questa occasione, di dare un “segnale forte” a tutta la popolazione romana. Alcuni soldati portarono una delle donne sotto il ponte, sulla sponda del fiume, e lì la violentarono. Poi, ancora seminuda e sotto choc, la assassinarono con un colpo di pistola alla testa. Le altre nove, furono schierate lungo il ponte e trucidate a raffiche di mitra. Sembra che sulle campate metalliche del ponte sia ancora possibile rintracciare i fori di alcuni proiettili.
I corpi delle donne, a monito per la popolazione sbigottita, vennero lasciati in terra sotto la vigilanza dei soldati tedeschi e dei repubblichini fascisti fino alla mattina seguente. Accanto ai corpi sanguinanti venne addirittura posto un cartello nel quale si parlava di quella strage definendola un esempio di ciò che, da allora, sarebbe potuto accadere alla popolazione che avesse osato effettuare ulteriori assalti a forni e negozi. Addirittura i militi fascisti, da una parte e dall'altra del ponte, costringevano i passanti ad traversare lo stesso guardando i corpi delle dieci donne uccise.
Soltanto a tarda sera, come fu successivamente riferito allo storico Cesare De Simone (un giornalista del Corriere della Sera che sull’avvenimento svolse notevoli e complicate ricerche, ed al quale si ispirò per il suo romanzo dal titolo “Donne senza nome”) dall’allora giovanissimo parroco di San Benedetto all’Ostiense, alcune suore riuscirono a posare accanto ai corpi delle candele e dei fiori. Queste sono le parole che il parroco riferì a De Simone e che io ho desunto da un articolo, a firma di Wladimiro Settimelli, del 1° Maggio 2005 dall’edizione romana de L’Unità: “Sì, le ho viste. Ho visto quelle dieci donne. O meglio, ho visto i loro corpi. Ero in chiesa e con dei parrocchiani stavo portando via le macerie dopo un bombardamento. Di corsa, erano arrivate della donne che si erano messe a gridare che dovevo correre perché al forno Tesei, le SS avevano preso dieci donne e le stavano per fucilare. Era, lo ricordo bene, il 7 aprile. Corsi e arrivai sul ponte. Le SS mi fermarono e poi arrivò anche uno della “Brigata Nera” con una”'M” rossa sul basco. Mi dissero che tutto era inutile perché le donne erano già state fucilate. Poi, mi portarono sotto il ponte e potei benedire quella creatura tutta nuda ammazzata sul posto”.
In effetti, dall’8 Aprile 1944, non si sa che fine abbiano fatto i corpi delle dieci uccise: secondo il racconto di Pericle Santini, un operaio lattoniere che lavorava nel suo sfascio sulle rive del Tevere e che, assieme ad altri operai, fu costretto sotto la minaccia dei mitra tedeschi, a caricare i dieci corpi su un camion, questi furono seppelliti in una fossa comune al cimitero del Verano.
Dopo la guerra fu posta una lapide in memoria dell’episodio, lapide divelta con un atto vandalico pochi mesi dopo.
Il De Simone, grazie ad un verbale dell’epoca redatto dalla Polizia, riuscì a risalite ai nomi delle 10 donne: Clorinda Falsetti, Italia Ferracci, Esperia Pellegrini, Elvira Ferrante, Eulalia Fiorentino, Elettra Maria Giardini, Concetta Piazza, Assunta Maria Izzi, Arialda Pistolesi e Silvia Loggreolo. Tali nomi sono tuttora incisi nella lapide in pietra e bronzo (opera dello scultore Giuseppe Michele Crocco) che venne posta in una aiuola sulla spalletta del Ponte dell’Industria il 7 Settembre 1977 dall’amministrazione comunale di Roma.

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Malgrado si conoscano i nomi delle donne non si è mai riusciti a risalire alle loro origini: probabilmente si trattava di donne registrate all’anagrafe con il cognome del marito (come usava all’epoca) oppure arrivate a Roma da sfollate da qualche paesino e, quindi, non registrate all'anagrafe romana.

Sull’eccidio, oltre ai rimandi al De Simone, ho trovato traccia anche di due titoli di cortometraggi di Emanuela Giordano (“Le ragazze del ponte” e “7 Aprile 1944 – Storie di donne senza storia”) e di uno spettacolo teatrale (“I dieci angeli del ponte”) scritto da Alessia Bellotto e da Paolo Buglioni.

03 marzo 2011

TAGLIOLINI AL PESTO, RAGOUT DI MARE E POLVERE DI MANDORLE

Purtroppo, come si dice a Roma, le "tranvate" (colpi duri da ammortizzare) sono all'ordine del giorno ma, questo, Rinaldo proprio non me lo doveva fare !!
Rinaldo è il gestore di quello che fu il ristorante "La Torre" (e, prima ancora, "Da Romolo", dal nome del padre, la trattoria nella piazzetta del borgo medievale di Nettuno), e che ora è ....un ristorante cinese! Magari anche valido, non so... ma cinese... a Nettuno ! :-(

Da Rinaldo io e Claudia eravamo soliti andare almeno una volta l'anno, spesso per il nostro anniversario (alternando Rinaldo ad un altro ristoratore romano) soprattutto per gustare la sua meravigliosa ed inimitabile zuppa di pesce: una pirofila (a persona) ovale di circa 30 centimetri piena di scorfano, polpo, triglie, cozze, vongole, gamberi, merluzzi e calamari, ovviamente il tutto servito, immerso in un perfetto sugo giustamente piccante, su di un letto di pane abbrustolito e stofinato con l'aglio.

Roba che per finirla ci si metteva un'ora intera: un po' per la quantità del pesce un po' perchè volevamo prolungare all'infinito quella meravigliosa beatitudine, che poi andavamo a smaltire con una lunga passeggiata al porto turistico, andandoci a sdraiare poi sugli scogli ...che non ci sono più, visto che nell'ultimo anno al loro posto è stata aggiunta un'altra banchina ! :-(
Quindi, ligi alla tradizione almeno di trascorrere il nostro anniversario a Nettuno, (dove ho passato tutte le estati della mia vita fino al mitico 1982, anno del trionfo ai mondiali di calcio di Spagna, con il nettunense Bruno Conti eletto miglior giocatore del torneo e soprannominato Mara-Zico) arriviamo nella piazza del mercato, dove, terza tranvata, neanche troviamo più il murales con Bruno Conti e il giocatore di Baseball (che sono però riuscito, in parte, a reperire su Google Maps).


Ci dirigiamo quindi al ristorante "Antica Taverna", che avevamo provato qualche anno fa, (anche se allora si chiama "La Piazzetta") una volta che Rinaldo era chiuso, e che ci era piaciuto abbastanza.
E, all'Antica Taverna abbiamo gustato questi

TAGLIOLINI AL PESTO CON GAMBERI, RAGOUT DI MARE E FARINA DI MANDORLE
In realtà la ricetta originale era con la mormora, che io ho sostituito con
la cernia aggiungendo anche le mazzancolle

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INGREDIENTI (per 5 persone):
750 gr. di tagliolini all'uovo
8 gamberi grandi
15 mazzancolle
1 filetto di cernia (o mormora)
mezzo vasetto di pesto genovese "Sapori e dintorni" della CONAD
aglio
olio
sale
farina

mezzo limone

pepe
peperoncino
vino bianco
una manciata di pangrattato
30 mandorle amare con la buccia

PROCEDIMENTO: ho pulito i crostacei togliendo l'esoscheletro e le teste, lasciando soltanto "la coda" a 5 gamberi. Ho poi tagliato a rondelle 3 gamberi e le mazzancolle.
Ho ridotto a dadini il filetto di cernia ed ho messo il tutto a marinare in frigorifero con il succo di mezzo limone, un giro d'olio, un pizzico di sale ed una spolverata di pepe per almeno mezz'ora, dopo aver mescolato bene il tutto per amalgamarlo.
Nel frattempo ho tritato molto finemente le mandorle riducendole quasi in farina.
Ho poi versato i crostacei e la cernia in una padella antiaderente, aggiungendo ancora un po' di olio e vino (che erano stati assorbiti), succo di limone, uno spicchio d'aglio e la punta di un peperoncino piccante.
Ho lasciato andare per meno di 5 minuti a fiamma bassa e poi, per lasciarlo un po' più compatto e per non fargli intridere troppo sughetto, ho tolto il pesce, mettendolo in una ciotolina coperta con pellicola d'alluminio per tenerlo in caldo; ho lasciato quindi nella padella la salsina di fondo.
Ho cotto al dente la pasta all'uovo e, nel frattempo, ho rimesso in padella il pesce aggiungendo il mezzo vasetto di pesto ed i cinque gamberi infarinati (in modo da creare una bella crosticina). Dopo neanche due minuti ho tolto i gamberi e spolverato il condimento con la polvere di mandorle e la manciata di pangrattato.
Ho scolato la pasta (tenendo un bicchiere di acqua di cottura da parte, in caso risultasse troppo asciutta) e l'ho versata nella padella con il condimento, mescolando bene.
Ho guarnito ogni piatto con un gambero infarinato ed una spolverata di polvere di mandorle e servito SUBITO (per questo la foto fa più schifo del solito e senza neanche un piatto "da parata": perchè l'ho fatta di corsissima visto che le quattro donne a tavola già protestavano).